Qui la sentenza di dignità della Corte di App. Milano, I Sez. Civ., 19 agosto 2011, n. 2359/2011. Il coraggio di Vittoria De Amicis (la moglie) ha contribuito alla presa di posizione di Illustri Coscienze di Esperti in Etica Medica e Giuridica che hanno pubblicamente denunciato questa morte con sopraffazione per 15 anni fino alla sentenza nel 2011. Leggete questa Storia drammatica ricostruita nella sentenza. Remo Liessi Martire dei Biodiritti. Morto, ma vivo nei cuori di chi sostiene come vincolante il Diritto all'autodeterminazione di Consenso o Dissenso di un trattamento sanitario e del Diritto alle libertà e convinzioni religiose
Potrete leggere la denuncia del Prof. Mauro Barni espressa assieme al Magistrato Dott. Sergio Fucci e al Prof. Vittorio Fineschi e Prof. P.G.Macrì durante il 1°Seminario "Coscienza Medicina e Alternative al Sangue" in tema di Rifiuto all'emotrasfusione organizzato in collaborazione del Comitato Etico USL8 ad Arezzo nell'Auditorium della Prefettura (Palazzo del Governo) il 5.02.2000 - Potrete seguire i video delle denunce espresse sul Caso dai Giuristi e esperti relatori.
Presentiamo la sentenza con questa relazione del Sig. Daniele Gabriele, inviata e pubblicata su molti siti e Riviste Giuridiche tramite l'Ufficio Legale della Congregazione Cristiana Testimoni di Geova.
"In allegato la sentenza della Corte di Appello di Milano, I Sez. Civ., del 19 agosto 2011, n. 2359/2011, presidente dott. Giuseppe Patrone, che riguarda la causa intentata dalla vedova del ministro di culto della Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova, il sig. Remo Liessi, trasfuso coattivamente nel maggio del 1996 dai medici dell’ospedale San Carlo di Milano dove era stato ricoverato per una neoplasia gastrica maligna mentre era pienamente cosciente e capace. Il paziente purtroppo moriva mentre era in corso la trasfusione coatta.
La vedova Liessi conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Milano l’Ospedale San Carlo ed i dott.ri responsabili della trasfusione coatta, contestando loro la condotta inadeguata ed illegittima tenuta nei confronti del defunto marito per aver violato il diritto di autodeterminazione del congiunto, la sua integrità fisica, la sua dignità, la sua libertà personale, il suo diritto di professare il credo religioso di appartenenza, ed infine per averne causato la morte tra sofferenze fisiche, morali ed umiliazioni.
Con sentenza n. 14883/2008, il Tribunale di Milano, giudice unico dott.sa Maria Jole Fontanella, negava in concreto il diritto del Liessi di rifiutare l’emotrasfusione, ma riteneva inadeguato e brutale il comportamento dei sanitari e pertanto solo per quest’ultimo li condannava in solido con l’Ospedale S. Carlo al risarcimento dei danni causati a Remo Liessi ed alla moglie Vittoria De Amicis in Liessi per complessive € 32.000,00.
In considerazione di tale ingiusta sentenza la Sig.ra Liessi proponeva ricorso in Appello per i seguenti tre motivi così come sono espressi nella stessa sentenza della Corte di Appello di Milano del 19 agosto 2011: a) con il primo motivo l’appellante censura la decisione del Tribunale di Milano che avrebbe negato il diritto di autodeterminazione del paziente ricoverato, la cui violazione integra gli estremi dei reati di cui agli artt. 589, 605 e 610 c.p.; b) con il secondo motivo l’appellante ha censurato la decisione del Tribunale di Milano che ha negato la violazione del diritto del Liessi ad essere dimesso dall’Ospedale S. Carlo; c) con il terzo motivo l’appellante ha dedotto la inadeguatezza del risarcimento liquidato e il mancato riconoscimento del danno patrimoniale.
La Corte di Appello di Milano con la sentenza del 19 agosto 2011, n. 2359/2011 ha ritenuto fondati tutti e tre i motivi di ricorso.
In particolare in relazione al primo motivo alla pag. 16-17 si legge: “Rileva la Corte che la proposta censura appare del tutto fondata dal momento che decisione resa in questi termini dal primo giudice è contraddittoria, perché pone sul piano della norma Costituzionale norme di rango inferiore, perché non trova riscontro nei dati normativi vigenti, perché svuota di contenuto gli artt. 2, 13, 32, 2° c. e 19 Cost., negando il diritto del paziente ricoverato di rifiutare un trattamento sanitario, perché è ancorata al vecchio modo di concepire il rapporto medico/paziente, perché nega il principio del “consenso informato”, inteso come sintesi dei diritti all’autodeterminazione e alla salute, principio ormai consolidato nella giurisprudenza della Corte Costituzionale, della Corte di Cassazione Sezioni Penali, della Corte di Cassazione Sezioni Civili, dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, e recepito ampiamente dalla giurisprudenza dei Tribunali e delle Corti di merito”.
Di conseguenza si può affermare senza alcun dubbio che la scriminante dello stato di necessità può operare, in campo medico, solo nei casi di urgenza, quando manchi del tutto la possibilità di conoscere la volontà del paziente in relazione al trattamento sanitario giudicato assolutamente necessario.
Il caso tipico è quello che si realizza in campo medico-chirurgico, quando la situazione di urgenza non consente di attendere che il paziente incosciente riprenda conoscenza ed esprima il proprio consenso o rifiuto all’atto terapeutico.
Al contrario, come nel caso del Sig. Liessi, quando la persona sia cosciente e capace di intendere e volere, se manifesta un consapevole “dissenso” al trattamento medico, non può essere “obbligata” a sottostarvi e l’art. 54 c.p. si arresta per un suo limite normativo implicito innanzi all’esercizio di un diritto fondamentale dell’individuo, costituzionalmente tutelato.
Se, invece, dallo stato di necessità discendesse un potere per il medico di intervenire sul paziente contro la sua lucida ed informata volontà, ne deriverebbe che una norma di rango secondario derogherebbe ai principi costituzionali dell’autodeterminazione, della libertà personale e religiosa.
A sostegno di ciò alla pag. 19 della sentenza i giudici hanno affermato “… che come la salute, neppure la tutela del bene vita, in realtà, può giustificare, alla luce del dettato costituzionale, la limitazione del diritto di autodeterminazione del paziente circa le cure cui sottoporsi. È inconciliabile, infatti, con la previsione dell’art. 32 2° comma Cost., la limitazione del diritto di autodeterminazione fondato sulla tutela prevalente del bene vita, sulla indisponibilità della vita ai sensi dell’art. 579 c.p. e 580 c.p., che sono norme peraltro di rango subordinato a quello costituzionale. Peraltro questa stessa Corte si è espressa in argomento con il decreto n. 88, del 25 giugno 2008, allorché alla pag. 27, ha affermato che non esiste nel nostro ordinamento giuridico nessun bene vita, inteso ‘come un’entità esterna all’uomo, che possa imporsi … anche contro ed a dispetto della volontà dell’uomo’ ma esiste invece il bene di vivere da uomo libero con la propria identità e dignità”.
Per quanto riguarda la liquidazione del danno, il terzo motivo del ricorso dell’appellante, la Corte ha affermato: “Orbene esaminando con animo scevro da pregiudizi l’intera vicenda oggi sottoposta alla delibazione della Corte non pare revocabile in dubbio che: a – il Liessi, legato ad un letto di ospedale, in presenza degli agenti della Polizia di Stato che allontanava dalla sua stanza la moglie, i parenti e gli amici, ha subito la più umiliante violazione della libertà personale; b – il Liessi, trasfuso coattivamente dopo essere stato legato ad un letto e privato del conforto dei cari, è stato offeso nella sua dignità di uomo, prima ancora che di ministro di culto; c – il. Liessi è stato costretto a subire la violazione dei principi religiosi in cui credeva fermamente, tanto da dedicare la sua vita per insegnarli agli altri, il Liessi è stato offeso anche nel suo profondissimo sentimento religioso, di ministro di culto e di fedele. d – al Liessi è stato negato il diritto di vivere il tempo rimasto nella serena consapevolezza di aver rispettato sempre i precetti religiosi cui aveva improntato la sua vita e quindi è stato leso il suo diritto all’identità personale.
Quindi, accanto ed oltre al danno biologico per la violazione della sua integrità fisica, ricorre nel caso del Liessi la violazione della libertà di autodeterminazione del paziente, della sua libertà personale, della sua dignità, della sua libertà religiosa, tutte posizioni riconosciute e tutelate dalla Costituzione. Trattasi – come è evidente – dì violazioni di diritti tutti costituzionalmente garantiti e tutelati, onde assai rilevante deve ritenersi essere stato il vulnus sofferto dal paziente Liessi Remo, morto vittima di profonda sofferenza morale, subendo la violazione di diritti costituzionali che ogni comunità democratica giudica inviolabili e che avrebbero meritato ben altra considerazione. E tale diversa considerazione è chiamata ad operare la Corte la quale, in coerenza con quanto fin qui affermato liquida unitariamente il ridetto danno non patrimoniale (o danno morale soggettivo) nella somma di € 300.000,00 in moneta attuale e quindi con l’aggiunta dei soli interessi legali dalla data della decisione dì secondo grado al saldo”.
In relazione ai danni subiti dalla vedova la Corte d’Appello si è così espressa: “A proposito della posizione del coniuge superstite va detto che nella condotta degli odierni appellati sono sicuramente ravvisabili alcune ipotesi di reato quanto meno sotto il profilo della violenza privata e del sequestro di persona con le aggravanti ex art. 112 c.p., con la conseguenza che bene a costei – che di gran parte della vicenda è stata testimone oculare e che per altra parte l’ha vissuta con lo strazio del soggetto escluso con la forza dal luogo nel quale si sono consumati le violenti condotte ai danni del coniuge deve essere liquidato per queste sofferenze anche il danno morale ex art. 185 c.p. e 2059 c.c., oltre al danno morale per la perdita del coniuge. Tale danno morale globalmente la Corte stima equo determinare nella complessiva misura di € 100.000,00, sempre in moneta attuale e quindi con l’aggiunta dei soli interessi legali dalla data della decisione di secondo grado al saldo”.
Sono toccanti le parole espresse dalla Corte nella parte finale delle motivazioni, pag. 23 “In ultima analisi questa Corte non può non condividere appieno le argomentazioni conclusive svolte sul punto dalla difesa dell’appellante allorché afferma che ‘Alla base di questo dilemma c’è, in un’ultima analisi, l’erronea interpretazione del proprio ruolo, ancorato evidentemente all’idea sbagliata che il medico sia il dominus della salute del paziente e che debba fare tutto quanto reputi necessario nell’interesse di questi. Vi è inoltre la presunzione dei medici di una sorta di validità assoluta del proprio sistema di valori e quindi l’erronea convinzione che i beni che intendevano tutelare (la salute e la vita del paziente) valessero universalmente come beni superiori, secondo una personalissima quanto limitata scala dì valori, in cui peraltro non si teneva conto della salute, intesa come benessere psichico dell’individuo, e della vita, intesa nel suo senso più ampio, comprendente il diritto a scegliere come vivere (comprendente anche il come morire), sostanziato dal diritto di autodeterminazione, dal diritto all’integrità del corpo ed al rifiuto di interventi non desiderati’.
Riteniamo che questa sentenza, ben argomentata nelle sue motivazioni dai giudici della Corte di Appello di Milano, possa contribuire ad affermare definitivamente diritti di rango costituzionale quali quelli alla libertà di autodeterminazione del paziente, alla sua libertà personale, alla sua dignità e alla sua libertà religiosa."
Daniele Gabriele – Ufficio Legale Congregazione Testimone di Geova
SENTENZA
nella causa civile promossa in grado di appello con citazione notificata in data 21.01.2010 e posta in decisione sulle conclusioni rassegnate ali 'udienza del giorno 05.04.2011
FRA
De Amicis Vittoria ved. Liessi elettivamente domiciliati in Milano alla via E. Besana, 11 presso lo studio dell'avv. Angelo Iannaccone che la rappresenta e difende, unitamente all'avv. Prof Pietro Rescigno ed all'avv.to Giovanni Cavallo del foro di Roma per delega in calce all'atto di citazione in appello.
APPELLANTE
E
Azienda Ospedaliera Ospedale S. Carlo Borromeo, dott. Giuseppe Bonfardeci, dott. Rinaldo Maino, dott. Claudio Luigi Enrico Mariani, Laura Speccher (quale erede del dott. Attilio Maria Bigatello), Anna Chiara Bigatello (quale erede del dott. Attilio Maria Bigatello) elettivamente tutti domiciliati in Milano alla P.zza Velasca, 5 presso lo studio dell'avv. Luigi Picone che li rappresenta e difende:
- i primi quattro per delega in calce alle comparse di riassunzione ad essi rispettivamente notificati nel giudizio di primo grado,
R.G. 387/2010 1 Il Presidente Relatore (Dott. Giuseppe Patrone)
-le ultime due per delega in calce ali 'atto di citazione in appello.
APPELLATI - APPELLANTI INCIDENTALlO
avente ad oggetto: responsabilità professionale
sulle conclusioni così come di seguito trascritte. appellante all. A
appellati all. B
R.G. 387/2010 2 Il Presidente Relatore (Dott. Giuseppe Patrone)
CONCLUSIONI PER L'APPELLANTE
Voglia l'ill.ma Corte di Appello di Milano, ogni contraria istanza
disattesa e respinta,
in parziale riforma della sentenza impugnata. così giudicare:
nel
merito in via principale
A)
dichiarare l'Azienda Ospedaliera "Ospedale San Carlo Borromeo",
in persona
del legale rappresentante pro-tempore, il Dr. Giuseppe Bonfardeci, il Dr.
Rinaldo Majno, la sig.ra Laura Specchiere la sig.ra Anna Chiara
Bigatello quali
eredi del defunto Dr. Attilio Maria Bigatello, il Dr. Claudio Luigi
Enrico Mariani
responsabili della violazione dei diritti dcl paziente, riconosciuti
dalla normativa
vigente ed in particolare dalla stessa Carta Costituzionale ali' art 32,
nonché dall'art. I, comma I 0 della Legge 13 maggio 1978 n. 180, dall'art. 14
ultimo comma del D.P.R. 27 marzo 1969, n. 128, dall'art. 33, comma
1°, della
Legge 23 dicembre 1978 n. 833, per aver praticato la trasfusione di sangue
coatta nonostante la volontà contraria manifestata dal paziente Remo Liessi;
B)
dichiarare i convenuti responsabili della violazione quantomeno degli
articoli
589, 610, 605 e 112 c.p.:
a)
dell'articolo 5S9 c.p. per aver causato la morte del paziente Remo
Liessi;
b)
dell'articolo 610 c.p. per aver costretto con violenza Remo Liessi a
subire il detto
trattamento;
c)
dell'articolo 605 c.p. per aver privato Remo Liessi della libertà
personale,
rifiutandogli
illegittimamente la dimissione dallo stesso richiesta:
d)
dell'articolo 112 c.p., perché nella fattispecie ricorrono le
aggravanti ivi
previste
C) condannare
conseguentemente l'Azienda Ospedaliera "Ospedale San Carlo Borromeo", in persona del legale rappresentante pro-tempore, il
Dr. Giuseppe
Bonfardeci,
il Dr. Rinaldo Majno, la sig.ra Laura Specchier e la sig.ra Anna
Chiara
Bigatello quali eredi del detì.mto Dr. Attilio Maria Bigatello, il
Dr.
Claudio
Luigi Enrico Mariani, in solido tra loro al risarcimento in favore
della
sig.ra
De Amicis Liessi Vittoria, sia in proprio che quale crede del defunto
Remo
Liessi, dei danni tutti subiti, patrimoniali e non patrimoniali, ivi
compreso
il danno morale. il danno biologico, il danno per la lesione dei
diritti
personali e familiari, il danno alla vita cli relazione ed ai
rapporti
affettivi
ed interfamiliari, nonché quello alla propria integrità
psico-tisica,
subito
dalla sig.ra De Amicis Liessi Vittoria per la perdita ciel marito, e
quello
alla
integrità psico-tisica subito dal defunto Remo Liessi, da
liquidarsi nella
misura
ritenuta di giustizia;
nel
merito in via subordinata
nella
denegata ipotesi in cui sì ritenesse ricorrere comunque l'esimente
di cui
all'art
54 c.p.:
A)
dichiarare l'Azienda Ospedaliera "Ospedale San Carlo Borromeo",
in
persona
del legale rappresentante pro-tcmpore, il Dr. Giuseppe Bonfardcci. il
Dr.
Rinaldo Majno, la sìg.ra Laura Specchier e la sig.ra Anna Chiara
Bigatello quali
eredi del defunto Dr. Attilio Maria Bigatello, il Dr. Claudio Luigi
Enrico
Mariani
responsabili della violazione dei diritti del paziente, riconosciuti
dalla
normativa
vigente ed in particolare dalla stessa Carta Costituzionale ali' art
32.
nonché dall'art. I, comma 1° della Legge 13 maggio 1978 n. 180. dall'art. 14
ultimo comma del D.P.R. 27 marzo 1969, n. 128, dall'art. 33, comma
1°.
della
Legge 23 dicembre 1978 n. 833. per aver praticato la trasfusione di
sangue
coatta nonostante la volontà contraria manifestata dal paziente Remo
Liessi;
B)
dichiarare l'Azienda Ospedaliera ·'Ospedale San Carlo Borromeo",
in
persona
del legale rappresentante pro-tempore, il Dr. Giuseppe Bonfardeci, il
Dr.
Rinaldo Majno, la sig.ra Laura Specchiere la sig.ra Anna Chiara
Bigatello
quali
eredi del defunto Dr. Attilio Maria Bigatello, il Dr. Claudio Luigi
Enrico
Mariani
responsabili della violazione quantomeno degli articoli 589, 610,
605
e
112 c.p.:
a)
dell'articolo 589 c.p. per aver causato la morte del paziente Remo
Liessi;
b)
dell'articolo 610 c.p. per aver costretto con violenza Remo Liessi a
subire il
detto
trattamento;
c)
dell'articolo 605 c.p. per aver privato Remo Liessi della libertà
personale,
rifiutandogli
illegittimamente la dimissione dallo stesso richiesta;
d)
dell'articolo 112 c.p., perché nella fattispecie ricorrono le
aggravanti ivi
previste.
C)
condannare l'Azienda Ospedaliera "Ospedale San Carlo Borromeo".
in
persona
del legale rappresentante pro-tempore, il Dr. Giuseppe Bonfardeci, il
Dr.
Rinaldo Majno. la sig.ra Laura Specchiere la sig.ra Anna Chiara
Bigatello
quali
eredi del defunto Dr. Attilio Maria Bigatello, il Dr. Claudio Luigi
Enrico
Mariani,
in solido tra loro, a sensi dell'articolo 2045 e.e .. al pagamento in
favore
della sig.ra De Amicis Liessi Vittoria, sia in proprio che quale
erede
del
defunto Remo Liessi, di una indennità per i fatti di cui in premessa
nella
misura
da stabilirsi secondo l'equo apprezzamento dell'lll.mo Giudicante;
in
ogni caso
con
vittoria di spese. diritti cd onorari di causa.
STUDIO
LEGALE
Avvocato
LUIGI PICONE
C.F.
PCNLGU37Bl9D969C
P.zza
Velasca, 5 - 20122 MILANO
Tel.
02.72002094 - 02.72003683
Fax
02.72023193
CORTE DI APPELLO DI MILANO
SEZ. 1" CIVILE; R.G. 387 /10
RELATORE IL PRESIDENTE DR. PATRONE
CONCLUSIONI
PER
1)
L'AZIENDA OSPEDALIERA "OSPEDALE SAN CARLO
BORROMEO"
2)
IL DR. GIUSEPPE BONFARDECI
3) IL
DR. RINALDO MAJNO
4)
IL DR. CLAUDIO LUIGI ENRICO MARIANI
5)
LA SIG.RA LAURA SPECCHER
6)
LA SIG.NA ANNA CHIARA BIGATELLO
appellati
ed appellanti incidentali.
Voglia
la Corte di Appello di Milano respingere l'appello della sig.ra
Liessi
in proprio e nella qualità.
In
accoglimento dell'appello incidentale voglia la Corre di Appello riformare
la sentenza impugnata laddove il Tribunale ha ritenuto dichiarandone la non
dovutezza sia con riguardo ai danni pretesamente subiti dal
sig. Liessi sia con riguardo a quelli pretesamente subiti dalla
sig.ra Liessi.
In estremo subordine, ove
ritenuto lo stato di necessità, liquidare
l'indennità di cui
all'art. 2045 e.e. nelle misure non superiori a quanto
già liquidato, pur a
diverso titolo, dal Tribunale, e, considerato che la
sentenza di 1° grado è
già stata eseguita, dichiarare che null'altro sia
dovuto dagli appellati e
appellanti incidentali.
Mandare comunque ed in
ogni caso assolti il dr. Bigatello ed il dr.
Bonfardeci.
Non si accetta il
contraddittorio su domande nuove o non
tempestivamente e
ritualmente proposte.
Spese compensate.
2
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione
notificato in data 21.01.2010 De Amicis Vittoria ved. Liessi ha
convenuto in giudizio
avanti a questa Corte d'appello di Milano Azienda Ospedaliera
Ospedale S.
Carlo Borromeo, doti.
Giuseppe Bonfardeci, dott. Rinaldo Maino, doti. Claudio Luigi Enrico
Mariani, Laura Speccher
(quale erede del doti. Attilio Maria Bigatello), Anna Chiara
Bigatello (quale erede del doti.
Attilio Maria Bigatello) per proporre impugnazione avverso la
sentenza n.ro
14883/2008 resa fra le
parti in data 13.12.2008 dal Tribunale di Milano con la quale tutti
gli
appellati erano stati
condannati al risarcimento del danno in favore dell'appellante nella
misura di € 20.000,00, oltre
accessori.
La citata sentenza aveva
posto termine al processo di primo grado avviato - secondo la ricostruzione dei fatti
operata dal primo giudice - da De Amicis Liessi Vittoria, in proprio
e quale erede del marito Remo
Liessi la quale "Con atto di citazione ritualmente notificato,
conveniva in giudizio Azienda
ospedaliera "Ospedale San Carlo Borromeo" ed i medici
Bonfardeci Giuseppe,
Majno Rinaldo, Bigatello
Attilio Maria e Mariani Claudio Luigi Enrico esponendo :
- il giorno 21/5/1996 il
coniuge Remo Liessi era stato trasportato con autoambulanza dal!'
Ospedale Fatebenefratelli all'
Ospedale San Carlo Borromeo, dove era stato ricoverato con la
diagnosi di
"ematemesi ed
emelena da sospetta neoplasia gastrica "
- nei giorni precedenti i
sanitari del!' Ospedale Fatebenefratelli che per primi avevano avuto
in cura
il Liessi a seguito di un
improvviso malore, riscontrata un'ulcera allo stomaco che avevano
emostatizzato, avevano
diagnosticato una neoplasia gastrica maligna e prospettato la
necessità di
effettuare terapia
emotrasfusionale, che il paziente, ministro del culto dei Testimoni
di Geova,
aveva categoricamente
rifiutato;
- fin dall' inizio del
ricovero, infatti il Lessi, aveva informato i sanitari delle proprie
convinzioni
religiose ed aveva
altresì consegnato un documento scritto di proprio pugno nel quale
manifestava
chiaramente e decisamente
il rifiuto di essere curato con trasfusioni di sangue; le insistenze
dei
medici ed il timore di
subire trasfusioni coatte avevano convinto il Liessi a chiedere di
essere
dimesso e trasferito
presso la struttura sanitaria convenuta, dove il prof Tenchini,
primario della
nona divisione sez. A
aveva assicurato il rispetto delle sue convinzioni e volontà ;
- qui giunto, i sanitari
avevano nuovamente proposto terapie trasfusionali, che il Liessi
aveva
ripetutamente rifiutato,
chiedendo nuovamente di essere dimesso, avevano effettuato un
tentativo di
TAC non portato a termine
per sopravvenuto malore, avevano chiesto un consulto psichiatrico,
dal
quale non era emersa
alcuna alterazione mentale ma solo la ferma intenzione, ribadita
anche dai
R.G. 387/2010 3 Il Presidente Relatore (Dott. Giuseppe Patrone)
parenti presenti, di
rifiutare la trasfusione, avevano allora chiesto l 'autorizzazione al
TSO al magistrato di turno, dopo
di che avevano convocato agenti della Polizia di Stato per far
allontanare i
familiari e, con l'aiuto
di infermieri, avevano immobilizzato il paziente ed iniziato ad
effettuare la
trasfusione. Vi era stata
una colluttazione, le urla del Li essi seguite da un lungo silenzio;
- poco dopo i medici
avevano comunicato ai familiari in attesa che il paziente era morto
per
complicazioni cardiache
intervenute nel corso della trasfusione coatta.
Il processo penale si
era concluso con 1' archiviazione, avendo il GIP del Tribunale di
Milano ritenuto che, pur
avendo lo stress psicofisico indotto dalla forzata trasfusione svolto
un
ruolo concausale nel
determinismo del decesso, tuttavia, stante il conflitto di interessi
etico giuridici
implicati, doveva
escludersi la qualificazione penale della condotta dei medici .
Tutto ciò esposto,
concludeva l'esponente chiedendo l' accertamento della responsabilità
dei
convenuti per la
violazione dei diritti del paziente e per averne causato la morte, e
la condanna degli
stessi in solido al
risarcimento del danno provocato, o, in subordine, al pagamento di
una indennità
ex art. 2045 cc. oltre,
in ogni caso, al pagamento delle spese di causa.
Si costituivano i
convenuti eccependo di avere agito in stato di necessità a fronte
del
pericolo di vita per il
paziente, la cui patologia non presentava altra percorribile
alternativa terapeutica che la trasfusione, e rilevando come la libertà religiosa non possa travalicare i principi fondamentali dell'ordinamento che non riconosce un diritto a morire, mentre impone ai sanitari un obbligo di protezione e
tutela della salute. Il Liessi era affetto da una grave forma di
neoplasia, la
violenta ed inarrestabile
emorragia lo avrebbe sicuramente portato a morte, ma nonostante la
sua
reiterata richiesta di
voler vivere ed essere curato ed il suo rifiuto di dimissione,
insisteva nel non
sottoporsi a trasfusione,
che era l'unico rimedio per tenerlo in vita e consentirgli di
affrontare, in un
secondo tempo, I'
intervento chirurgico che la patologia da cui era affetto imponeva.
Ciò dedotto, ribadivano
i sanitari di avere agito in scienza e coscienza e concludevano
chiedendo il rigetto
della domanda";
Radicatosi in tal guisa
il contraddittorio, espletate le prove orali dedotte dalle parti e
dallo
stesso giudicante
ammesse, esperita altresì una CTU medica era pervenuto alla
decisione oggi
impugnata sul plurimo
rilievo che:
a - "Un paziente
ricoverato in una struttura sanitaria pubblica e riscontrato affetto
da "neoplasia
gastrica- emorragia
gastro intestinale - infarto miocardio" viene sottoposto contro
la sua volontà -
chiaramente e
reiteratamente manifestata unitamente alla relativa giustificazione
(è ministro del
culto dei Testimoni di
Geova) - a trasfusioni coatte attuate per il tramite della
contenzione e della
forza pubblica. L'
intervento terapeutico si realizza in un clima di estrema tensione
(dalla cartella
clinica : "li
paziente rifiuta con la violenza e con urla le emotrasfusione. La
forza pubblica allontana
R.G. 387/2010 4 Il Presidente Relatore (Dott. Giuseppe Patrone)
i familiari dalla stanza
che si oppongono a gran voce. Si decide di contenere il paziente per
poter
attivare l
'emotrasfusione") il programma trasfusionale viene iniziato e
proseguito malgrado il Liessi
manifesti un evidente e
crescente stato di stress.( dalla cartella clinica ... " li
paziente è agitatissimo
ed incontattabile, in
preda ad uno stato di agitazione psicomotoria grave") Alla
infusione della terza
sacca di sangue si
verifica crisi !ipotimica con arresto del respiro, si attuano
pratiche rianimatorie,
ma dopo mezz'ora circa il
paziente muore.";
b - "Lamenta
\'attrice a mezzo dei consulenti tecnici di parte che la trasfusione
non era necessaria nè indicata, che
\'aggravamento delle condizioni del paziente era stato determinato da
incongrue
manovre diagnostiche
(TAC) non autorizzate, che in relazione alla patologia sofferta dal
Li essi
erano attuabili terapie
alternative altrettanto efficaci, che non sussistevano invece ì
presupposti per
il TSO finalizzato alla
emotrasfusione, che lo stress provocato dalla contenzione e dalla
coartazione
era stato causa del
decesso ";
c - "Le questioni
qui rilevanti sono relative alle conseguenze sul piano girnidico
della effettuazione
di un trattamento
sanitario non autorizzato, anzi espressamente e consapevolmente
rifiutato, ma
ritenuto dai curanti di
sostegno vitale, con la preliminare puntualizzazione che la
emotrasfusione
non è prevista tra i
trattamenti sanitari obbligatori ex art. 32/2 Coste L. 13/3/1978
n.180, dovendosi
escludere una situazione
di incapacità o malattia mentale del paziente che, anzi, visitato da
un
medico psichiatra poche
ore prima del decesso era risultato "orientato, collaborante
Ribadisce il
rifiuto già opposto alle
trasfusioni richiedendo cure compatibili con le sue convinzioni
religiose che
gli impediscono di
accettare sangue ..... ";
d - "Nella "proposta
di TSO medico" sottoscritta dal dr. Rinaldo Majno il 23/5/96
alle h. 18,45 (
cfr. doc. in fase. di
parte) premessa la valutazione del pericolo di vita, non è stata
inserita alcuna
indicazione circa il
trattamento sanitario cui si intendeva sottoporre il paziente né I'
autorità cui tale
richiesta era rivolta ed
è stata inoltrata, né, tantomeno, il suo esito. Si tratta perciò
di un documento
del tutto irrilevante. E'
altresì da escludere la legittimità giuridica della condotta medica
sulla base
di autorizzazioni
richieste e asseritamene concesse dall'Autorità Giudiziaria,
notoriamente priva di
competenza ad intervenire
in tali questioni.";
e - Alla luce delle
chiare , puntuali e rigorose analisi e valutazioni dei consulenti d'
ufficio deve
riconoscersi che il
pericolo di vita sussisteva cd era dipendente dal gravissimo stato di
anemizzazione e che,
sulla base dello stato delle conoscenze scientifiche del tempo, unico
intervento terapeutico
idoneo e necessario per tenere in vita il paziente era il ricorso
alla
emotrasfusione, in
conformità alle linee guida italiane ed internazionali. Stante I'
attualità del
pericolo di vita, il
procrastinare - come era stato fatto fino a quel momento -
l'omissione di questa
terapia avrebbe quasi
certamente condotto a morte il paziente nel giro di breve tempo.";
R.G. 387/2010 5 Il Presidente Relatore (Dott. Giuseppe Patrone)
f - "Chiarito ciò,
la valutazione della fattispecie esige il richiamo al dibattito in
corso sul rapporto
tra i doveri di
protezione e garanzia che incombono sul medico ed il diritto di
autodeterminazione
del paziente, e dunque,
sui limiti etici e giuridici del!' intervento medico. In proposito si
deve
rilevare che
probabilmente il clima di generale sfiducia nelle relazioni sociali e
professionali che
caratterizza il nostro
tempo ha fatto si che questo rapporto sia configurato e prospettato,
anche nella
forma fisiologica, in
termini conflittuali, piuttosto che di correlazione e complementarietà, così che
nella elaborazione
giurisprudenziale più recente sembra essere stata progressivamente
abbandonata
l'ipotesi della
individuazione di un punto di equilibrio fra valori di pari rango
costituzionale a favore
della ricerca del primato
di uno dei due sul!' altro. Non va sottovalutata poi in questa
materia
l'assenza di fonti
normative specifiche e la presenza invece di implicazioni scientifiche, etiche,
politiche,
inevitabilmente destinate ad influenzare variamente nel tempo
l'esperienza del nascere,
del curare, del morire e
così gli stili di vita, i modelli e le aspettative sociali, così
che gli interventi
giudiziari che si sono
succeduti in questi ultimi anni rappresentano tappe, risposte
contingenti del
processo di
armonizzazione, nell'ottica dei principi costituzionali (art.2 e
art.32/2 Cast.), delle
crescenti aspirazioni
individuali di libertà con esigenze sociali irrinunciabili di
solidarietà e di
sicurezza, ma non possono
avere la pretesa di risposte definitive e assolute perché sempre
diverse
sono le situazioni
concrete.che si prospettano al!' interprete.";
f "E' certo che
sulla base della legislazione emanata in ambito sanitario ( si
richiama l'art.33 della
legge istitutiva del SSN
n.833/78 che qualifica i trattamenti sanitari come, di nonna
volontari) e
delle innumerevoli
pronunce giurisdizionali, il nostro sistema giuridico si caratterizza
attualmente in
materia di
autodeterminazione consapevole del paziente per una soglia
particolarmente elevata del
consenso ai trattamenti
sanitari, sostenuta da uno scopo di rango elevato qual' è il diritto
alla salute.
E' proprio questa soglia
che qualifica il rapporto fra medico e paziente imponendo al medico
di non
attribuire alle sue
valutazioni e decisioni, per quanto oggettivamente dirette alla
salvaguardia del
diritto alla salute del
paziente, una forza di giustificazione del!' intervento che esse di
per se sole
non hanno - o meglio ,
non hanno più come in passato - giacche devono rapportarsi con un
altro
diritto di rango
costituzionale qual' è quello della libertà personale che l'art.13
qualifica come
inviolabile.";
g - "L'esercizio di
quest' ultimo diritto può avere come manifestazione concreta il
rifiuto di cure
finalizzate alla
sopravvivenza? Sono note le correnti di pensiero che si sono formate
in relazione a
questa domanda: una parte
della dottrina e della giurisprudenza ritiene che il diritto a
rifiutare il
trattamento trovi un
limite nelle superiori esigenze di salvaguardia della vita umana
concepita come
valore supremo, non
disponibile; l'orientamento opposto sostiene che trattamenti sanitari
anche di
sostegno vitale non
possano essere imposti contro la volontà di un soggetto
coscientemente
R.G. 387/2010 6 Il Presidente Relatore (Dott. Giuseppe Patrone)
dissenziente. E' questa
la soluzione condivisa da ultimo dalla Corte di Cassazione con le
recenti
sentenze 16/10/07 n.21748
e 15/9/08 n.23676 secondo le quali, in sintesi, di fronte al rifiuto
di cure
c'è spazio nel quadro
del!' alleanza terapeutica fra medico e paziente per un'azione di
persuasione e
c'è il dovere da parte
del medico di verificare le ragioni profonde del rifiuto e la
possibilità di
superarle, ma non c'è
possibilità di disattenderlo in nome di un dovere di curarsi e di
vivere come
principio di ordine
pubblico. E' questo per la Corte il risvolto negativo dei diritti
alla salute e alla
libertà che, in quanto
tali, implicano anche il diritto di perdere la salute, di non
curarsi, di lasciarsi
morire. E ciò perché il
conflitto fra due beni entrambi costituzionalmente tutelati, della
salute e
della libertà di
coscienza, non può essere risolto sic et simpliciter a favore del
primo, avendo ogni
individuo il diritto di
scegliere e non potendo alcuna autorità statuale legislativa,
amministrativa,
giudiziaria imporre
trattamenti sanitari individuali al di fuori dei casi consentiti
dalla legge.";
h - "In relazione a
queste conclusioni, alcune considerazioni si impongono. E'
riconosciuto in dottrina e giurisprudenza
che il medico è titolare di una posizione di garanzia nei confronti
del
paziente affidato alle
sue cure, si rinviene il fondamento giuridico di tale posizione
nell'art. 40 cpv
c.p., oltre che negli
obblighi contemplati nel contratto di prestazione d'opera che si
stipula tra le
parti per effetto del
ricovero nella struttura sanitaria o della richiesta di cure, nel!'
impegno
formalmente assunto dal
professionista con il giuramento, nei principi ispiratori del Codice
deontologico della
categoria, nella consuetudine che vede da sempre la figura del medico
come
colui che assiste e cura
il malato, nelle nonne di diritto pubblico che disciplinano le forme
ed il
funzionamento degli enti
preposti all'assistenza sanitaria e che configurano la stessa come un
servizio pubblico a
tutela della salute del singolo e della collettività. Alla recente
pronuncia della
Corte di Cassazione ( n.
16/10/07 n.21748) non può attribuirsi pertanto una portata tale da
vanificare o superare una
costruzione dogmatica così fortemente radicata nelle norme positive
. E' la
stessa Corte, peraltro,
che in uno dei passaggi della motivazione richiama testualmente"
doverosità
medica "
specificando che questa " trova il proprio fondamento
legittimante nei principi
costituzionali di
ispirazione solidaristica che impongono l'effettuazione di quegli
interventi urgenti
che risultino nel
migliore interesse terapeutico del paziente" In un altro
passaggio la Corte è ancora
più esplicita "La
tragicità estrema di tale stato patologico ... non giustifica in
alcun modo un affievolimento delle cure
e del sostegno solidale , che il Servizio Sanitario deve continuare
ad
offrire e che il malato
ha diritto di pretendere fino al sopraggiungere della morte. La
comunità deve
mettere a disposizione di
chi ne ha bisogno e lo richiede tutte le migliori cure e presidi che
la
scienza medica è in
grado di apprestare per affrontare la lotta per restare in vita, a
prescindere da
quanto la vita sia
precaria";
R.G. 387/2010 7 Il Presidente Relatore (Dott. Giuseppe Patrone)
i - "Dunque, sulla
base dei principi giuridici che regolano l' esercizio della
professione medica
deve ritenersi che il
bene della salute sia tutelato dalla Costituzione (art.32) attraverso
il
riconoscimento di una
posizione di garanzia in capo al medico e che dalla titolarità della
posizione
di garanzia scaturisca
direttamente per il medico l' obbligo di attivarsi e di fare il
possibile per la
salvaguardia del!'
interesse tutelato, qualificato come fondamentale diritto dell'
individuo, ma anche
come interesse della
collettività. La pregnanza dell'interesse tutelato se è tale da
avere indotto il
legislatore a costituire
una posizione di garanzia a suo presidio non può nel contempo
tollerare
soluzioni di continuità
o interferenze nel compimento del!' attività di tutela Pertanto non
sembra che
il diniego del
beneficiario della protezione sia idoneo a far desistere il soggetto
di essa responsabile
perché sarebbe illogico
predisporre una copertura cautelare giustificata dalla rilevanza
assoluta del
bene da proteggere che
risultasse però poi in concreto condizionata quanto alla sua
attuazione dalla
volontà del protetto e
rimessa al suo discrezionale consenso, così da trasformare il medico
da
garante della salute e
della vita a mero registratore ed esecutore di volontà e scelte
terapeutiche del
paziente ( che, peraltro,
come nel caso di specie, potrebbero essere in concreto non attuabili
e
risultare non idonee a
salvargli la vita, come il paziente vorrebbe e si aspetta)";
I - "Il principio
generale del!' autodeterminazione terapeutica in tutte le fasi della
vita non è qui in
discussione, né si
dubita della sua qualificazione come diritto personalissimo di rango
costituzionale, come
ribadito dalla recentissima Cassazione Sezioni Unite del 13/ 11108,
ma, si
ritiene, il suo concreto
esercizio non possa prescindere dalla natura della relazione che si
instaura
con il medico per effetto
della richiesta di cura e dalle modalità e contesti concreti nei
quali si
manifesta. Innanzitutto
un'autonomia assoluta e incondizionata del paziente non sembra in
concreto
configurabile stante l'
oggetto della prestazione e la peculiarità del rapporto
medico/paziente che, in
quanto relazione
caratterizzata da una asimmetria di informazioni tecniche, non può
svolgersi su un
piano paritario, ma
implica il riconoscimento dei rispettivi ruoli e delle specifiche
competenze e la
disponibilità ad un
affidamento reciproco (c.d. alleanza terapeutica), così che il
medico possa
esprimere la propria
professionalità e realizzare il servizio di tutela della salute cui
è preposto nel!'
interesse effettivo del
paziente, avendone compreso appieno le esigenze e le aspettative. In
secondo
luogo la richiesta di
ricovero e l'accettazione del paziente nella struttura sanitaria
istituzionalmente
deputata alla cura
impongono ai medici di adempiere a quella funzione di protezione che
costituisce
l'essenza stessa della
professione ma che è anche, per tutto quanto fin qui esposto, un
obbligo
giuridico ed esigono
l'applicazione della terapia ritenuta da essi medici in scienza e
coscienza
necessaria quoad vitam";
m - Il riconoscimento
della doverosità dell' intervento medico trova recente confemia
anche in
ambito penale, cfr. Cass.
Sez.IV 23/1/08 n.16375 "Va esclusa ai sensi degli artt.32/2 e 13
Cost. e
R.G. 387/2010 8 Il Presidente Relatore (Dott. Giuseppe Patrone)
dell' art. 33 L.833/78 la
possibilità di accertamenti e di trattamenti sanitari contro la
volontà del
paziente, se questi è in
grado di prestare il suo consenso e non ricorrono i presupposti dello
stato di necessità, ricorrendo
queste condizioni, nessuna responsabilità è configurabile a carico
del medico
curante in ordine al
decesso del paziente nolente";
n - "Alla luce di
quanto fin qui esposto, si ritiene che il Liessi avesse il pieno
diritto di rifiutare
interventi terapeutici
indesiderati o contrari alle sue convinzioni religiose, ma solo a
condizione di
risolvere il contratto di
cura e lasciare la struttura sanitaria, non potendo pretendere di
rimanere
ricoverato, di essere
salvato, come peraltro insistentemente chiedeva, ma di scegliere a
sua
discrezione le terapie
cui sottoporsi, riducendo i sanitari a meri esecutori delle sue
determinazioni (
cfr. in proposito la
ricostruzione - del tutto conforme al complesso delle risultanze
istruttorie - di
uno dei medici convenuti,
il dr. Majno, nel corso del!' interrogatorio fonnale "Nel
pomeriggio erano
presenti nel reparto la
moglie, il cognato, Trupiano, Venturini ed altri Testimoni di Geova.
Ad un
certo punto ho preso la
decisione ed ho detto ai parenti : o facciamo la trasfusione o lo
portate a casa
. I parenti hanno detto
che non lo avrebbero portato a casa e che si sarebbero opposti alla
trasfusione" ;
o - "La
particolarità che contraddistingue la fattispecie e la qualifica
rispetto alle situazioni che
hanno generato il
dibattito in corso è l'esplicita reiterata richiesta del paziente
che non aveva alcuna
intenzione di lasciarsi
morire, ma che anzi, voleva guarire cfr. :Relazione della visita
psichiatrica
del 23/5 h.l 7 30; il
paziente descritto come orientato, e collaborante".,,. Richiede
cure compatibili
con le sue convinzioni
religiose ... chiede di voler vivere e di non voler morire rifiuta
comunque
una autodimissione e
chiede di essere curato rispettando le sue convinzioni .Anche i
familiari (
moglie e cognato)
rifiutano le cure necessarie ( trasfusioni) e, pur rendendosi conto
delle gravi
condizioni , rifiutano
ogni ipotesi di dimissione chiedendo che rimanga in ospedale per
essere
curato" Deposizione
teste De Amicis Bruno, cognato del Liessi " .... i medici ci
avevano
chiaramente informato
della necessità di effettuare emotrasfusioni , ciononostante mio
cognato
aveva chiesto di fare il
possibile per salvargli la vita, ma con cure alternative ....... A
seguito dei
dinieghi del Liessi i
sanitari chiesero a noi parenti di farlo dimettere e portarlo in
altro ospedale, ma
rispondemmo che, essendo
lucido e cosciente la decisione spettava a lui ...... "
Deposizione teste
Venturini Giorgio "31
Liessi mi ha riferito che i medici lo avevano avvertito che era in
pericolo di
vita ... ciononostante
lui era deciso a vivere fino in fondo la sua fede, non voleva morire
, ma non
voleva neppure
trasfusioni"";
p - "In un momento
quale quello presente in cui il confronto e l'attenzione
dell'opinione pubblica
sono fortemente
incentrati sulla condotta che deve tenere il medico di fronte alla
richiesta ciel
malato che non intende
proseguire le cure e vuole decidere come e quando morire, la
fattispecie si
R.G. 387/2010 9 Il Presidente Relatore (Dott. Giuseppe Patrone)
colloca in una diversa
prospettiva e pone una diverso interrogativo : la volontà del
paziente può
spingersi al punto di
imporre al medico una cura diversa da quella che il sanitario ritiene
(correttamente, com'è
stato accertato) l'unica valida ed efficace per scongiurare la morte?
Da una
parte la necessità ed
urgenza terapeutica, con la sua connotazione di doverosità,
dall'altra una
pretesa che non sembra
qualificabile come esercizio del diritto di autodeterminazione ma
che,
comunque, interferendo
sulla valutazione in "scienza e coscienza" che solo al
soggetto qualificato e
abilitato può spettare,
impone la interruzione del rapporto terapeutico.";
q - "L' attrice
lamenta che, allorché le venne comunicata l' intenzione dei medici
di procedere alle
trasfusioni avrebbe
richiesto le dimissioni del marito che furono negate . In proposito
si rileva come
dall' istruttoria - e
dalla cartella clinica - sia emerso che ripetutamente nei tre giorni
di durata del
ricovero i medici
invitarono tanto il Liessi quanto i familiari alle dimissioni, ancora
alle 17,30 del
23/5 - quindi poche ore
prima del decesso - nel corso della visita psichiatrica i familiari
vennero
interpellati in tal
senso, ma, " rendendosi conto delle gravi condizioni, rifiutano
ogni ipotesi di
dimissione, chiedendo che
rimanga in ospedale per essere curato" Secondo il teste De
Amicis Bruno,
la moglie del Liessi
chiese al Direttore Sanitario non le dimissioni, bensì " se il
marito fosse
trasportabile in altra
struttura "solamente alle h.18,00 quando i medici stavano
avviando , in un
~ clima di grande
concitazione e tensione che aveva richiesto intervento della PS, le
operazioni
trasfusionali, per cui
è comprensibile che non ci fosse stata risposta A quel punto infatti
era evidente
che il tempo necessario
per la ricerca di altra struttura, per adempiere le modalità di
dimissione di
cui all' art. 14 DPR
128/69 (richiesta scritta e motivato parere del sanitario
responsabile ) e per
organizzare le materiali
operazioni di trasferimento del paziente avrebbero impegnato I'
attenzione
dei sanitari e impedito
qualsiasi possibile intervento salvavita.";
r - "Chiarite la
correttezza e la doverosità della terapia trasfusionale, occorre
però a questo punto
verificare la
praticabilità ed esigibilità in concreto della stessa, considerato
che, anche nel!'
adempimento del dovere
professionale, l'agire medico non può prescindere da valutazioni di
proporzionalità e
adeguatezza dell'azione rispetto al raggiungimento dello scopo.
Perché il concreto
svolgimento dell'attività medica pone di per se stesso il professionista in una
relazione con il
paziente che ne determina
l'assimilazione a quella del debitore di una obbligazione, la cui
condotta
nell'adempimento della
prestazione deve essere improntata alla diligenza che la situazione
concreta
richiede. Non può
trovare applicazione in questa sede la previsione di cui ali'
art.2045 cc. che
giustifica la produzione
di un evento dannoso necessitato dalla finalità di salvare sé o
altri dal
pericolo di un danno
grave alla persona . Si ritiene infatti (fin da Cass.2819/71 n.2660)
che la
norma, da ritenersi
integrata dagli elementi di cui all' art. 54 c.p., operi solo in un
ambito extracontrattuale ( l'
orientamento contrario è decisamente minoritario) e in una
situazione non
R.G. 387/2010 10 Il Presidente Relatore (Dott. Giuseppe Patrone)
assimilabile alla
fattispecie, presupponendo un intervento spontaneo dell'agente e la
causazione di
un evento dannoso che
scongiura un danno più grave alla persona.";
s - "Con riferimento
invece al ripetuto richiamo operato dai convenuti ali' art. 2236 cc.
si rileva che
nessuna prestazione di
speciale difficoltà si imponeva nella fattispecie e , di fatto,
nessun errore
diagnostico è stato
compiuto, la necessità del ricorso ad emotrasfusioni era apparsa ai
sanitari subito
chiara e non sostituibile
con altre terapie. La condotta tenuta non va esente da rilievi
colposi
certamente non lievi che
non attengono tanto a profili tecnici quanto di opportunità sulla
base delle
considerazioni seguenti.
I criteri ispiratrici della condotta medica sono ormai ben delineati
nell'ordinamento :
- l'art. I della
L.23/12/78 n.833 prevede che "La tutela della salute fisica e
psichica deve avvenire
nel rispetto della
dignità e della libertà della persona umana"
- con la L. 28/3/01 n.145
il nostro Stato ha autorizzato la ratifica della Convenzione del Consiglio d'Europa per la
protezione dei diritti dell' uomo e della dignità dell' essere
umano riguardo all'
applicazioni della
biologia e medicina " (La Convenzione adottata nel 1997, sebbene
non ancora
ratificata non è priva
cli effetto nell'ordinamento, avendo comunque una funzionale
indicatrice e di
ausilio sul piano
interpretativo cli quelli che sono i principi cui lo Stato intende
uniformarsi)
- il Codice cli
deontologia medica nella versione più datata del 1995 ed in quella
più recente nel
ribadire che il dovere
del medico è la tutela della vita e della salute fisica e psichica
del paziente
riconosce come valore di
riferimento dell'agire il rispetto della libertà e dignità della
persona umana
"·
t - "E' il caso in
esame in cui il diniego alle trasfusioni era giustificato da un credo
religioso al quale
il Liessi aderiva
profondamente e convintamente, supportato in ciò da amici e
familiari Da qui il
dovere di prospettare
terapie efficaci, ma nello stesso tempo di attuarle con modalità il
più possibile
rispettose della dignità
e della libertà del paziente.";
u - "In relazione
alla condotta dei medici sin qui descritta il collegio peritale, che
non ha avuto
alcun dubbio nel
riconoscere che la trasfusione era I' unica scelta terapeutica
praticabile, ha invece
espresso sconcerto ed
imbarazzate perplessità, comprensibili di fronte ad un comportamento
dei
sanitari così
palesemente inadeguato e brutale. E' certo che i curanti fossero ben
consapevoli che il
Liessi era un paziente
fortemente defedato, cui bastava un piccolo sforzo - come quello di
passare
dalla posizione distesa a
quella seduta - per provocargli una sincope, così com' era avvenuto
R.G. 387/2010 11 Il Presidente Relatore (Dott. Giuseppe Patrone)
qualche ora prima . Come
possono allora avere sottovalutato i rischi su un equilibrio così
precario
di un intervento
praticato all'insegna della forza e della sopraffazione fisica ?";
v - "Secondo i ctu
lo stato d'agitazione del Liessi in parte dovuto alla contenzione, in
parte allo
stress emotivo per la
violazione delle sue convinzioni religiose, considerato il già
scarso apporto di
ossigeno al cervello, ha
avuto un ruolo concausale aumentando la produzione di adrenalina, e
di
conseguenza il fabbisogno
di ossigeno, così che il muscolo cardiaco, già criticamente
compromesso
da una patologia
coronaria e da un apporto di ossigeno ridotto a causa della grave
anemizzazione, non è stato più in
grado di reggere al sovraccarico. A queste stesse conclusioni era
giunto il
consulente tecnico del
Pubblico Ministero nel procedimento penale, affermando che, pur non
potendo quantificarsi
l'entità dello stress emozionale indotto dalla emotrasfusione
coatta, vi erano
elementi, tra cui il
breve lasso cronologico con l'arresto cardiaco, per ritenere che
avesse avuto
senz'altro un ruolo
concausale nel determinismo del decesso, che si sarebbe comunque
verificato,
ma con meccanismi
fisiologici diversi. La terapia trasfusionale che avrebbe dovuto
salvare la vita al
paziente, per le modalità
con le quali è stata attuata ne ha invece, con elevata probabilità,
secondo i Ctu, anticipato il decesso. Con l'inopportuno ricorso alla
forza pubblica ed ai mezzi di contenzione i
sanitari convenuti da un
lato hanno posto in essere una delle cause del decesso, dall'altro
hanno
violato elementari
precetti deontologici e del vivere civile, offendendo i sentimenti e
la dignità del
paziente. Senza la
forzata trasfusione, stante il tenace e lucido dissenso, il Liessi
sarebbe deceduto
di li a poco, ma in ben
altre condizioni. C'è una dignità anche nel processo del morire che
al Liessi è
stata negata : negli
ultimi momenti della sua vita ha visto agenti della Polizia entrare
nella stanza di
ospedale, ha assistito
all'allontanamento dei familiari da parte degli agenti, ha subito,
lucido e
presente, l'umiliazione
di essere legato al letto, sopraffatto da medici ed infermieri, dopo
avere
tentato di alzarsi come
estremo tentativo di sottrarsi alla trasfusione. E' rimasto solo, in
preda alla
disperazione, fino a che
non è sopraggiunto il decesso ( cfr. dep. De Amicis)";
z - "Ebbene, tutto
ciò non ha niente a che fare con i concetti di cura e di prestazione
sanitaria
salvavita, né quelle
suddescritte possono qualificarsi come attività connesse o
connaturate alla
normale esecuzione di un
trattamento terapeutico. I consulenti d' ufficio hanno precisato che,
da un
punto di vista tecnico,
la contenzione era I' unico mezzo per rendere possibile
l'emotrasfusione in
un paziente tenacemente
dissenziente, ma, anche volendo prescindere dalle condizioni
obbiettive
del paziente che da sole
avrebbero dovuto sconsigliare un simile stress, sì ritiene che
l'esercizio
della funzione di
garanzia in capo ai medici cosi come pure l'obbligo contrattuale di
adempimento
della prestazione, non
possano spingersi fino a travalicare diritti inviolabili di ogni
essere umano e
costituzionalmente
protetti (artt.2-3 Cost.) quali la libertà personale, la dignità.
la solidarietà che
impongono una soglia di
rispetto invalicabile da pai1e di chiunque e di fronte ai quali
devono
R.G. 387/2010 12 Il Presidente Relatore (Dott. Giuseppe Patrone)
arrestarsi, non potendo
fondare la propria legittimazione (o esigibilità) su metodi
caratterizzati da
violenza fisica o morale
che l'ordinamento giuridico e la società civile non ammettono. I convenuti,
pur nella comprensibile
difficoltà del momento, considerato il grave quadro clinico del
soggetto sul
quale si apprestavano ad
intervenire, avrebbero dovuto evitare di esasperare la
contrapposizione con
paziente e parenti al
punto tale da rendere necessario addirittura l' ingresso di agenti di
PS nella
camera del Li essi,
evento che già di per sé deve avere sortito un effetto scioccante -
confermandogli
l'impressione di stare
subendo una ingiusta prevaricazione piuttosto che un intervento
salvifico - e
contribuito a rafforzarne
le resistenze, così da richiedere poi l' ulteriore imposizione della
contenzione In tal modo
si è verificato un superamento della posizione di garanzia giacché
l'
eccesso d' intervento ha
fatto si che l'azione dei sanitari non risultasse più concretamente
adeguata
al perseguimento della
tutela della salute, come l' epilogo della vicenda ha dimostrato La
scelta
delle modalità attuative
del trattamento terapeutico si è cosi tradotta in un pregiudizio
alla vita e agli
altri diritti della
persona del paziente. Ne consegue l'obbligo risarcitorio ex artt.1218
e 1226 cc.";
z 1" - La
determinazione dell'entità del risarcimento si presenta complessa,
stante la peculiarità della fattispecie in cui
il danno si è concretato nell'aver reso particolarmente penose le
ultime ore di vita del paziente al
punto da deterrninare l' anticipazione del decesso rispetto a quanto
sarebbe avvenuto in assenza dell'azione coercitiva. La difficoltà di valutazione è ancor più
evidente se si considera la sproporzione
qualitativa tra i beni lesi ed il rimedio patrimoniale attuato dal risarcimento. I ctu,
descritte le condizioni del Liessi immediatamente prima della
trasfusione (gravissimo stato di
anemia anemica, appena reduce da un episodio sincopale scarsamente compensato, possibilità
di ripresa della emorragia dello stomaco per distacco del coagulo,
necrosi miocardia) hanno
ipotizzato un range temporale di sopravvivenza, in assenza di terapie trasfusionali, da qualche
ora ad un giorno. Per questo limitato arco temporale va pertanto riconosciuto al Li essi
il risarcimento del danno biologico e del danno morale ...
Considerate le conseguenze del
pregiudizio ed il tempo di percezione dello stesso, e dunque di
durata della sofferenza, appare equo
liquidare il danno subito dal Liessi in €. 12.000,00 oltre
interessi legali dal 2315196 al saldo . Il
diritto al risarcimento deve ritenersi acquisito ed è entrato a far
parte del patrimonio del
danneggiato al momento del fatto illecito, prima del suo decesso e
dunque trasmissibile agli eredi.
L'odierna attrice è stata privata della possibilità di rimanere
vicina al marito morente, di assisterlo e
confortarlo nelle ultime ore di vita, di accompagnarlo verso la fine.
Considerato il legame che li univa non solo nella vita ma altresì nella condivisione della fede religiosa, lo stato d'animo e la sofferenza che una tale privazione deve avere determinato sono comprensibili e immaginabili e non richiedono ulteriori indagini e commenti A titolo di
R.G. 387/2010 13 Il Presidente Relatore (Dott. Giuseppe Patrone)
risarcimento del danno
morale dell' attrice appare equo liquidare la somma di E. 8.000,00
oltre
interessi legali al tasso
medio del 3,75% dal 23/5/96 al saldo".
A fondamento della
proposta impugnazione ha dedotto l'appellante:
a - il Tribunale di
Milano ha negato il diritto di autodeterminazione del paziente
ricoverato, la cui
violazione integra gli
estremi dei reati di cui agli artt. 589, 605 e 610 c.p.;
b - il primo giudice ha
negato la violazione del diritto del Liessi ad essere dimesso
dall'Ospedale
San Carlo;
c - la inadeguatezza del
risarcimento liquidato e mancato riconoscimento del danno
patrimoniale.
Nel costituirsi in
giudizio gli appellati Azienda Ospedaliera Ospedale S. Carlo
Borromeo,
dott. Giuseppe
Bonfardeci, dott. Rinaldo Maino, dott. Claudio Luigi Enrico Mariani,
Laura
Speccher (quale erede del
dott. Attilio Maria Bigatello), Anna Chiara Bigatello (quale erede
del
dott. Attilio Maria
Bigatello) hanno dedotto la infondatezza dei motivi addotti a
sostegno del
proposto gravarne ed ha
concluso per il rigetto di questo, vinte le spese. Essi poi hanno, in
via di
appello incidentale,
richiesto la modifica della impugnata decisione nel punto in cui il
primo giudice
aveva apprezzato che le
modalità esecutive della trasfusione sarebbero state "inadeguate
e brutali"
Instauratosi in tal guisa
il contraddittorio, senza ulteriori acquisizioni istruttorie, sulle
conclusioni delle parti,
precisate come in epigrafe trascritte, la causa è stata assegnata in
decisione
una volta scaduti i
termini fissati per il deposito delle memorie difensive conclusive.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Esaminando i motivi di
gravame dedotti dal difensore dell'appellante questa Corte ritiene
che le censure mosse alla
sentenza del primo giudice siano ingiustificate e che le valutazioni
cd i
giudizi espressi in detta
pronunzia debbano trovare in questa sede di gravarne piena conferma.
Come si è visto con il
primo motivo censura l'appellante la decisione di primo grado sul
rilievo che il Tribunale
di Milano avrebbe negato il diritto di autodeterminazione del
paziente
ricoverato, la cui
violazione inte!,,'fa gli estremi dei reati di cui agli artt. 589,
605 e 610 c.p.
Ha argomentato la
propria censura l'appellante deducendo che pervero il primo giudice
aveva riconosciuto in
astratto il diritto del paziente Remo Liessi di rifiutare un
trattamento
sanitario, anche se
vitale, ma poi aveva affermato che, nel caso specifico, il Liessi non
aveva tale
diritto sul rilievo che
il diritto di autodeterminazione del paziente non sarebbe assoluto,
ma
incontrerebbe forti
limitazioni, derivanti dalla posizione di garanzia posta dalla legge
in capo al
medico. Il quale avrebbe
in ogni caso il dovere di attivarsi e di fare il possibile per curare
il
paziente, essendo la
salute fondamentale diritto dell'individuo, ma anche interesse della
collettività.
R.G. 387/2010 14 Il Presidente Relatore (Dott. Giuseppe Patrone)
Il paziente quindi
avrebbe il diritto di rifiutare i trattamenti indesiderati o contrari
alle sue convinzioni religiose, -
ha concluso la sua argomentazione in primo giudice - ma solo a
condizione
di risolvere il contratto
di cura e di lasciare la struttura sanitaria, non potendo invece
chiedere di
rimanere ricoverato e
nello stesso tempo di "scegliere a sua discrezione le terapie
cui sottoporsi",
rifiutando le cure
ritenute necessarie dai medici, che altrimenti sarebbero ridotti al
ruolo di "meri
esecutori delle sue determinazioni", e se la struttura sanitaria ed i medici
convenuti, nel caso del
Liessi, non sono andati
esenti da condanna risarcitoria, ciò non è dipeso quindi dalla
realizzata
violazione della lucida
volontà dissenziente dcl paziente, ma è solo la conseguenza dcl
fatto che,
nell'esecuzione del
trattamento coatto, giudicato corretto e doveroso, i medici
adottarono comunque
modalità esecutive
inadeguate e non proporzionate al caso, tali da condurre ad un
giudizio di colpa
grave sul loro operato,
per aver trasfuso con la forza (legandolo al letto e facendo
intervenire la
forza pubblica per
allontanare i suoi cari) un paziente gravemente debilitato,
sottoponendolo ad uno
stress tale che ne
causava in breve la morte per arresto cardiocircolatorio.
Rileva la Corte che la
proposta censura appare dcl tutto fondata dal momento che decisione
resa in
questi termini dal primo
giudice è contraddittoria, perché pone sul piano della norma
Costituzionale
norme di rango inferiore,
perché non trova riscontro nei dati normativi vigenti, perché
svuota di
contenuto gli arti. 2,
13, 32, 2° c. e 19 Cost., negando il diritto del paziente ricoverato
di rifiutare un trattamento sanitario, perché è ancorata al vecchio
modo di concepire il rapporto medico/paziente,
perché nega il
principio del "consenso informato", inteso come sintesi dei
diritti
all'autodeterminazione e
alla salute, principio ormai consolidato nella giurisprudenza della
Corte
Costituzionale, della
Corte di Cassazione Sezioni Penali, della Corte di Cassazione Sezioni
Civili,
dalla Corte Europea dei
Diritti dell'Uomo, e recepito ampiamente dalla giurisprudenza dei
Tribunali
e delle Corti di merito.
L'errore di fondo,
insanabile ed assoluto, che si annida alle fondamenta dell'iter
logico
argomentativo seguito dal
primo giudice consiste nell'essere andato alla ricerca (ed alla fine
avere
ritenuto di averlo
trovato) di una sintesi fra la previsione di cui all'art. 32, 2° c.,
Cost. e la
posizione espressa dalla
Corte di Cassazione - secondo cui il rifiuto ad una terapia espresso
dal
paziente cosciente e
capace deve essere rispettato sempre e comunque - ed una assurda ed
incoerente limitazione
del diritto costituzionale di autodeterninazione del paziente circa
le cure cui
sottoporsi, affermando il
contestuale obbligo del medico, titolare di una asserita posizione di
garanzia, di attivarsi
per curare il paziente affidato alle sue cure, anche contro la
volontà del paziente stesso,
soprattutto quando la cura sia necessaria ed urgente e di avere
individuato il
momento di questa
innaturale sintesi nella necessità per il paziente di sottrarsi alle
cure del medico
nella specie chiedendo le
dimissioni dall'ospedale in cui si trova ricoverato.
R.G. 387/2010 15 Il Presidente Relatore (Dott. Giuseppe Patrone)
A questo punto una prima
notazione sorge spontanea ed è relativa alla illogicità - prima
ancora che alla
infondatezza - della tesi così argomentata. Infatti posto che la
asserita posizione
"di garanzia"
riconosciuta dal giudice al sanitario ospedaliero deve essere
necessariamente
riconosciuta anche a
qualunque altro sanitario che sia stato chiamato al capezzale di un
malato al
fine di apprestare le
cure mediche del caso, e posto che necessariamente anche in questo
caso
l'unica possibilità per
il paziente di non praticare le cure prescritte sarebbe quella di
licenziale il
sanitario chiamato al
capezzale per le cure del caso, una domanda rimane desolatamente
senza
risposta: ma se è vero
che il rifiuto ad una terapia espresso dal paziente cosciente e
capace deve
essere rispettato sempre
e comunque, nei confronti di chi questo diritto può e deve essere
fatto
valere, posto che in
questi casi dall'ospedale bisogna andarsene e bisogna altresì
licenziare il
medico chiamato al
capezzale?.
Che significato ha un
rifiuto ad una terapia espresso dal paziente cosciente e capace e che
deve essere rispettato
sempre e comunque, se questo rifiuto non può essere fatto valere nei
confronti del sanitario
che prescrive la cura?.
Ma la tesi - come si è
detto è palesemente infondata.
Invero il diritto di
autodeterminazione del paziente si fonda su una nonna di rango
costituzionale (l'art. 32
della Costituzione), laddove il dovere del medico di attivarsi a
tutela del
bene salute deriva invece
- secondo quanto il Tribunale stesso affenna . da una posizione di
garanzia fondata
sull'art. 40, 2° comma c.p., sugli obblighi contemplati nel
contratto di prestazione
d'opera che si stipula
tra le parti per effetto del ricovero nella struttura sanitaria o
della richiesta di
cure, sull'impegno
formalmente assunto dal medico con il giuramento di Ippocrate, sui
principi
ispiratori del Codice
Deontologico della categoria medica, sulla consuetudine secondo cui
il medico
cura il malato, sulle
norme di diritto pubblico che disciplinano gli enti preposti
all'assistenza
sanitaria, configurandola
quale servizio pubblico a tutela del diritto dell'individuo e
nell'interesse
della collettività (pag.
17 § 2 della sentenza).
Pare allora alla Corte
evidente del fatto che il primo giudice non ha fatto buon governo del
principio della c.d.
"gerarchia delle fonti del diritto" posto che secondo il
suo argomentare la
posizione di garanzia del
medico, che come si è detto trova fondamento in nonne di rango
subordinato rispetto
all'art. 32 Cast., limiterebbe, pur in assenza di un interesse
pubblico (quale
sarebbe, ad esempio,
l'esigenza di scongiurare il rischio di contagio o il rischio che
l'infermo di
mente diventi pericoloso
per la collettività, casi tutti questi che legittimano il ricorso al
c.d.TSO), il
diritto costituzionale di
autodeterminazione del paziente, e ciò in palese violazione, appunto
dei
principi che regolano la
gerarchia delle fonti del diritto e in netto contrasto con la
giurisprudenza
R.G. 387/2010 16 Il Presidente Relatore (Dott. Giuseppe Patrone)
della Suprema Corte di
Cassazione, Sezz. Civili e Penali e della Corte Costituzionale,
giurisprudenza troppo
nota per doverla qui ripercorrere.
Sarà sufficiente
ricordare quanto ha insegnato Cassazione Civile, Sez. III, n.
2847/2010,
laddove ha ribadito che
"Il diritto all 'autodeterminazione è, del resto, diverso dal
diritto alla salute
... Esso rappresenta ad
un tempo, una forma di rispetto per la libertà dell'individuo e un
mezzo per il
perseguimento dei suoi
migliori interessi, che si sostanzia non solo nella facoltà di
scegliere tra le
diverse possibilità di
trattamento medico, ma altresì di eventualmente rifiutare la terapia
e di
decidere consapevolmente
di interromperla, atteso il principio personalistico che anima la
nostra
Costituzione, la quale
vede nella persona umana un valore etico in sé e ne sancisce il
rispetto in
qualsiasi momento della
sua vita e nell'integrità della sua persona, in considerazione del
fascio di
convinzioni etiche,
religiose, culturali e filosofiche che orientano le sue
determinazioni volitive". ln
considerazione di ciò,
prosegue la sentenza, "la lesione del diritto
all'autodeteminazione non
necessariamente comporta
la lesione della salute, come accade quando manchi il consenso ma
l'intervento sortisca un
esito assolutamente positivo ... "; "un conflitto regolato
ab externo è, invece,
escluso in radice dalla
titolarità di pur contrastanti interessi in capo allo stesso
soggetto, al quale
soltanto, se capace,
compete la scelta di quale tutelare e quale sacrificare .... Anche in
caso di
violazione del diritto
all'autodeterminazione, pur senza correlativa lesione del diritto
alla salute
ricollegabile a quella
violazione per essere stato l'intervento terapeutico necessario e
correttamente }eseguito, può dunque sussistere uno spazio
risarcitorio".
A bene vedere, quindi,
il dictum del giudice di primo grado si risolve non solo nella
violazione del diritto
all'autodeterminazione ma anche nella negazione del diritto alla
salute del
paziente, quale diritto
dell'individuo ad uno stato di benessere fisico e psichico, per
affermare la
supremazia della salute
fisica, quale interesse della collettività. La corretta impostazione
del diritto
alla salute è
richiamata, invece, in primo luogo dall'art. 32, l 0 co. Cost., che
prevede il compito
dello Stato di tutelare
la salute "come fondamentale diritto dell'individuo e interesse
della
collettività". A
seguito dell'inclusione nel novero dei diritti inviolabili
dell'individuo di cui all'art. 2
Cosi., il diritto alla
salute viene ormai considerato come sufficientemente fondato già in
forza del
precetto costituzionale,
e, dunque anche solo per questo senz'altro azionabile contro
comportamenti
lesivi di terzi, sia nei
rapporti tra privati che nei rapporti dei pubblici poteri (C. Cost.
sentenze nn.
88/l979 e I 84/1986)
Ed allora ecco pronta la
risposta ai quesiti di cui dianzi si è accennato risposta che
chiarisce
che affermare che il
malato, quando si affida al medico, nulla può opporre contro le
decisioni
terapeutiche di
quest'ultimo, mentre, se chiede le dimissioni, torna libero di fare
ciò che vuole,
R.G. 387/2010 17 Il Presidente Relatore (Dott. Giuseppe Patrone)
perché la posizione di
garanzia del medico svanisce, equivale a riconoscere i diritti
all'autodeterminazione e
alla salute del paziente soltanto al di fuori del rapporto sanitario.
Si tratta all'evidenza,
di conclusioni inaccettabili, prima ancora che sul piano giuridico,
su
quello etico, perché in
nome della tutela del bene salute, di fatto si allontana il malato
dal medico,
privandolo persino del
conforto morale che, al pari del trattamento terapeutico più
adeguato al caso,
costituisce l'oggetto
della prestazione sanitaria.
Infatti esclusa la
facoltà del paziente di opporre al medico il rifiuto di una cura non
obbligatoria,
anche se necessaria, il
diritto di autodeterminazione del paziente viene privato in buona
sostanza
della sua componente più
pregnante, quella negativa, e limitato a quella positiva di mera
facoltà di
decidere se affidarsi o
meno alle cure di un medico. Invece è proprio la componente
negativa, quella
che si esplica
all'interno del rapporto medico-paziente, che dà maggiore sostanza
al diritto di
autodeterminazione del
paziente, come diritto dell'individuo, riconosciuto dall'art. 32
della
Costituzione, dì
rifiutare una cura. In altre parole va riaffermato il principio
secondo il quale il
medico, oggi, dismesso il
ruolo di dominus, padre padrone della salute del paziente, è
legittimato ad
operare solo nell'ambito
di "un'alleanza terapeutica" con il paziente che si sia
affidato alle sue cure,
paziente che deve essere
adeguatamente informato, per poter esercitare consapevolmente il
diritto di
autodeterminazione circa
le cure cui sottoporsi.
Ma a ben vedere
l'impostazione del giudice di primo grado non è condivisibile,
perché
assegna alla salute,
quale interesse della collettività, un primato sul corrispondente
diritto
dell'individuo che non
trova riscontri nell'ordinamento e nelle decisioni della Suprema
Corte di
Cassazione e della Corte
Costituzionale. L'impostazione qui criticata è ancor meno
condivisibile
nella parte in cui
introduce il terna della tutela del bene della vita, quale fine
ultimo che legittima e
rende lecita l'azione
terapeutica coattiva.
Vi è in effetti un
passaggio della sentenza impugnata in cui risulta svelata
l'impostazione
ideologica che
evidentemente ispira la pronuncia di primo grado. A pag.19 della
sentenza si legge:
" ... la richiesta
di ricovero e l'accettazione del paziente nella struttura sanitaria
... impongono ai
medici di adempiere a
quella funzione di protezione che costituisce l'essenza stessa della
professione ma che è
anche, per tutto quanto fin qui esposto, un obbligo giuridico ed
esigono
l'applicazione della
terapia ritenuta da essi medici in scienza e coscienza necessaria
quoad vitam"
Ecco quindi che riemerge
il tema della tutela della vita, caro a tutti coloro che sono
disposti a
giustificare l'intervento
coattivo dei sanitari sul paziente lucido e dissenziente. Secondo
questa
impostazione, condivisa
dal giudice di primo grado, il medico potrebbe imporre al paziente
affidato
alle sue cure tutte le
terapie ritenute utili alla sua salute e quelle necessarie per
salvargli la vita.
R.G. 387/2010 18 Il Presidente Relatore (Dott. Giuseppe Patrone)
Al contrario ritiene la Corte che come la salute, neppure la tutela del bene della vita, in realtà, può giustificare, alla luce del dettato costituzionale, la limitazione del diritto di autodeterminazione del paziente circa le cure cui sottoporsi. È inconciliabile, infatti, con la previsione dell'art. 32, 2° comma Cost., la limitazione del diritto di autodeterminazione fondato sulla tutela prevalente del bene vita, sulla indisponibilità della vita ai sensi degli artt. 579 c.p. e 580 c.p., che sono norme peraltro di rango subordinato a quella costituzionale.
Peraltro questa stessa Corte si è espressa in argomento con il decreto n. 88, del 25 giugno 2008, allorchè alla pag. 27, ha affermato che non esiste nel nostro ordinamento giuridico nessun bene vita, inteso "come un'entità esterna all'uomo, che possa imporsi ... anche contro ed a dispetto della volontà dell'uomo" ma esiste invece il bene di vivere da uomo libero con la propria identità e
dignità.
Con il secondo motivo ha censurato l'appellante la decisione del primo giudice sul rilievo che questi ha negato la violazione del diritto del Liessi ad essere dimesso dall'Ospedale San Carlo.
Ha argomentato in particolare la censura l'appellante deducendo che il giudice di primo grado, sebbene abbia riconosciuto in astratto l'esistenza di tale facoltà per il paziente ("si ritiene che il Liessi avesse il pieno diritto di rifiutare interventi terapeutici indesiderati o contrari alle sue convinzioni religiose, ma solo a condizione di risolvere il contratto di cura e lasciare la struttura sanitaria", pagg.19, 20 della sentenza), ha ritenuto che, nel caso concreto, non vi sarebbe stata violazione dei diritti del paziente, dimentico del tutto di ricordare che quando fu chiaro che i sanitari del S. Carlo non avrebbero rispettato la volontà del paziente e si accingevano ormai a dare inizio al trattamento trasfusionale, al punto che veniva chiamata la forza pubblica per allontanare dalla stanza amici e parenti, la sig.ra De Amicis Liessi, odierna appellante, chiese ai sanitari le dimissioni del marito, ma non ottenne alcuna risposta.
La censura in questi termini strutturata appare fondata dal momento che la ricordata circostanza di fatto risulta chiaramente dagli atti di causa siccome confennata anche dalla prova testimoniale assunta (vedi testimonianza del sig. Bruno De Amicis), ma a fronte di ciò la impugnata decisione con una motivazione per certi versi perplessa afferma che la sig.ra De Amicis non avrebbe chiesto le dimissioni del marito, ma si sarebbe limitata ad informarsi se il marito fosse in condizioni d'essere trasportato, senza ricevere risposta dai medici.
Ci si chiede a che scopo la sig.ra De Amicis avrebbe dovuto chiedere infonnazioni sul trasporto del congiunto, se non perché desiderava che il marito fosse dimesso.Non solo. Una chiara richiesta di dimissioni, al di là di quanto chiesto dalla moglie, provenne direttamente dal Liessi che, se prima aveva chiesto d'essere curato nel rispetto della sua
R.G. 387/2010 19 Il Presidente Relatore (Dott. Giuseppe Patrone)volontà, una volta che i medici si accingevano a legarlo al letto, per dare inizio alla trasfusione, resisteva fisicamente ai sanitari, cercando addirittura di alzarsi dal letto per sottrarsi ai sanitari.
Aggiunge poi il Tribunale - sommando incongruenza ad incongruenza - che poiché la richiesta di dimissioni giunse poco prima dell'inizio della trasfusione coatta, era normale che i medici non rispondessero a quella richiesta, che sarebbe stata tardiva, dando a questo punto per accertata la esistenza di un termine finale per esercitare il proprio e personalissimo diritto di chiedere le dimissioni.
Con il terzo motivo deduce l'appellante la inadeguatezza del risarcimento liquidato e mancato riconoscimento del danno patrimoniale.
Come si è visto il giudice di primo grado, pur avendo negato la violazione del diritto di autodeterminazione del Liessi e conseguentemente quella della sua libertà personale, ha ritenuto i medici e la struttura sanitaria colpevoli per le inadeguate e brutali modalità di esecuzione della terapia trasfusionale, integranti "un pregiudizio alla vita e agli altri diritti della persona del paziente". Quindi a fronte della grave violazione di plurime posizioni costituzionalmente tutelate e richiamate solo in modo generico, il Tribunale ha poi liquidato solo il risarcimento per i danni biologico e morale, subiti dal sig. Liessi, e quello per il danno morale subito dalla moglie, sig.ra Vittoria Dc Amicis, con importi - peraltro. che a giudizio dell'appellante risultano insufficienti a costituire un equo ristoro persino dei pochi pregiudizi presi in considerazione dal Tribunale.
La censura appare alla Corte chiaramente fondata.
Oggi, a seguito dei recenti insegnamenti della Corte di Cassazione (n. 26972 e ss del 11.11.2008) in tema di danno non patrimoniale, il c.d. danno morale soggettivo non costituisce autonoma voce di danno, ma la sofferenza opera come criterio di quantificazione del danno non patrimoniale complessivamente inteso, da liquidarsi unitariamente, tenendo conto di tutti i diritti e gli interessi costituzionalmente tutelati, che siano stati oggetto di lesione. Orbene esaminando con animo scevro da pregiudizi l'intera vicenda oggi sottoposta alla delibazione della Corte non pare revocabile in dubbio che:
a - il Liessi, legato ad un letto di ospedale, in presenza degli agenti della Polizia di Stato che allontanava dalla sua stanza la moglie, i parenti e gli amici, ha subito la più umiliante violazione della libertà personale;
b - il Liessi, trasfuso coattivamente dopo essere stato legato ad un letto e pnvato del conforto dei cari, è stato offeso nella sua dignità di uomo, prima ancora che di ministro di culto;
e - il Liessi è stato costretto a subire la violazione dei principi religiosi in cui credeva fermamente, tanto da dedicare la sua vita per insegnarli agli altri, il Liessi è stato offeso anche nel suo profondissimo sentimento religioso, di ministro di culto e di fedele.
R.G. 387/2010 20 Il Presidente Relatore (Dott. Giuseppe Patrone)
d - al Liessi è stato negato il diritto di vivere il tempo rimasto nella serena consapevolezza di aver rispettato sempre i precetti religiosi cui aveva improntato la sua vita e quindi è stato leso il suo diritto all'identità personale.
Quindi, accanto ed oltre al danno biologico per la violazione della sua integrità fisica, ricorre nel caso del Liessi la violazione della libertà di autodetenninazione del paziente, della sua libertà personale, della sua dignità, della sua libertà religiosa, tutte posizioni riconosciute e tutelate dalla Costituzione.
Trattasi - come è evidente - di violazioni di diritti tutti costituzionalmente garantiti e tutelati, onde assai rilevante deve ritenersi essere stato il vulnus sofferto dal paziente Liessi Remo, morto vittima di profonda sofferenza morale, subendo la violazione di diritti costituzionali che ogni comunità democratica giudica inviolabili e che avrebbero meritato ben altra considerazione.
E tale diversa considerazione è chiamata ad operare la Corte la quale, in coerenza con quanto fin qui affermato liquida unitariamente il ridetto danno non patrimoniale (o danno morale soggettivo) nella somma di€ 300.000,00 in moneta attuale e quindi con l'aggiunta dei soli interessi legali dalla data della decisione di secondo grado al saldo.
Del pari insufficiente si appalesa la liquidazione dei danni riconosciuti alla sig.ra De Amicis Liessi, alla quale è stato riconosciuto, quale unico pregiudizio risarcibile, quello di non aver potuto assistere il marito negli ultimi istanti di vita, essendo stata allontanata dalla Polizia cli Stato dalla stanza del marito.
Ma non è solo questo.
A proposito della posizione del coniuge superstite va detto che nella condotta degli odierni appellati sono sicuramente ravvisabili alcune ipotesi di reato quanto meno sotto il profilo della violenza privata e del sequestro di persona con le aggravanti ex art. 112 c.p, con la conseguenza che bene a costei - che di gran parte della vicenda è stata testimone oculare e che per altra parte l'ha vissuta con lo strazio del soggetto escluso con la forza dal luogo nel quale si sono consumati le violenti condotte ai danni del coniuge - deve essere liquidato per queste sofferenze anche il danno morale ex art. 185 c.p. e 2059 e.e., oltre al danno morale per la perdita del coniuge. Tale danno morale globalmente la Corte stima equo determinare nella complessiva misura di € 100.000.00. sempre in moneta attuale e quindi con l'aggiunta dei soli interessi legali dalla data della decisione di secondo grado al saldo.
Null'altro ritiene la Corte che nel caso di specie possa essere liquidato a titolo dirisarcimento dei danni dal momento che le assai gravi condizioni in cui versava il paziente al momento dei fatti - e che sono state bene poste in luce dalla espletata CTU - escludono che vi sia
R.G. 387/2010 21 Il Presidente Relatore (Dott. Giuseppe Patrone)
stata una efficacia concausale - di entità apprezzabilmente autonoma e rilevante - della condotta dei sanitari nel cagionare il decesso del paziente.
E ciò vale anche ai fini del lamentato danno patrimoniale.
Una ultima serie di notazioni deve essere fatta per dare risposta nello specifico ad alcune difese svolte dagli appellati.
In particolare hanno argomentato la propria difesa i ridetti sanitari ribadendo anche in questa sede di gravame la piena legittimità dell'emotrasfusione imposta al Liessi, il quale al cospetto dei medici non avrebbe manifestato la propria volontà in modo univoco. I sanitari argomentano la loro difesa riconoscendo in linea generale e di principio che il paziente ha diritto, in astratto, di rifiutare una cura, ma sostengono che questo non sia il caso di specie in quanto - sostengono - il Liessi avrebbe manifestato volontà contraddittorie, dal momento che ha rifiutato, pervero, il trattamento emotrasfusionale, per motivi di ordine religioso, e nel contempo ha richiesto di essere curato, dicendo che era suo desiderio vivere.
La verità, tuttavia, è affatto diversa.
Remo Liessi, che non aveva l'animo ed intenzioni di suicidio, era consapevole che il rifiuto dell'emotrasfusione avrebbe messo in pericolo la sua vita, pur tuttavia era pronto a farsi carico di quel rischio, così come ebbe a dichiarare una prima volta (ali 'ingresso nel nosocomio) e ripetere più volte ai medici curanti, in modo consapevole, netto e chiaro, avendo superato persino un esame psichiatrico cui venne sottoposto. Egli certamente sapeva del grave rischio per la vita cui era esposto, ma continuò a rifiutare il trattamento emotrasfusionale, urlando il proprio rifiuto fino ad opporsi fisicamente ai medici che lo trasfondevano coattivamente, dopo averlo legato al letto. (e di ciò sono ottima testimonianze le notazioni che figurano in cartella clinica). Egli aveva sottoscritto un'ampia dichiarazione di volontà, al momento del ricovero, poi inserita nella cartella clinica, in cui affermava di "rifiutare categoricamente qualsiasi trattamento sanitario che richieda l'uso del sangue intero o dei suoi componenti principali come globuli rossi, globuli bianchi, piastrine e plasma, somministrati in qualsiasi modo e con qualsiasi mezzo", aggiungendo: "tale mio rifiuto circa il sangue è assoluto, definitivo e valido in ogni circostanza, anche di fronte al pericolo di vita e in assenza di metodiche alternative" (doc. 4 fascicolo del primo grado).
Più chiaro e netto di così.
Ma la realtà è molto diversa.
In effetti i medici compresero molto bene - e da subito - il fermo ed univoco rifiuto opposto dal Liessi e perciò vissero un personalissimo dilemma tra il dovere (previsto dalla legge e dal codice deontologico) di rispettare quella volontà consapevole, chiara ed univoca e la ritenuta opportunità di sottoporre il paziente a tutti i costi al trattamento emotrasfusionale rifiutato
R.G. 387/2010 22 Il Presidente Relatore (Dott. Giuseppe Patrone)
Dilemma - è chiaro - che traeva origine non dalla volontà del paziente, che fo manifestata in modo consapevole, chiaro ed univoco, ma dall'erronea convinzione che, nonostante il dovere di astensione, il medico comunque possa agire, in scienza e coscienza (la propria!), a tutela della vita del paziente, anche contro la sua volontà. in ultima analisi questa Corte non può non condividere appieno le argomentazioni conclusive svolte sul punto dalla difesa dell'appellante allorchè afferma che "Alla base di questo dilemma c'è, in un'ultima analisi, l'erronea interpretazione del proprio ruolo, ancorato evidentemente all'idea sbagliata che il medico sia il dominus della salute del paziente e che debba fare tutto quanto reputi necessario nell'interesse di questi. Vi è inoltre la presunzione dei medici di una sorta di validità assoluta del proprio sistema di valori e quindi l'erronea convinzione che i beni che intendevano tutelare (la salute e la vita del paziente) valessero universalmente come beni superiori, secondo una personalissima quanto limitata scala di valori, in cui peraltro non si teneva
~ conto della salute, intesa come benessere psichico dell'individuo, e della vita, intesa nel suo senso più ampio, comprendente il diritto a scegliere come vivere (comprendente anche il come morire), sostanziato dal diritto di autodeterminazione, dal diritto all'integrità del corpo ed al rifiuto di interventi non desiderati."
In via di appello incidentale, poi, sostengono i sanitari dell'Ospedale S. Carlo e la di fesa del nosocomio che le modalità esecutive della trasfusione non sarebbero state "inadeguate e brutali" (così le ha definite il tribunale di Milano), essendo proporzionate al caso del paziente che resiste fisicamente all'esecuzione di un trattamento sul suo corpo. Il paziente, peraltro, non sarebbe stato legato al letto, ma sarebbe stato solo immobilizzato con dci "bracciali", per evitare che si facesse delmale, e gli agenti della Polizia di Stato sarebbero stati fatti intervenire per la necessità di placare l'inqualificabile "gazzarra" che avrebbero inscenato i suoi cari.
La infondatezza della tesi in questi termini argomentata è dimostrata da quanto si legge nella cartella clinica - di certo non compilata dai familiari del Liessi o da questi medesimo - nel punto in cui si riferisce che "Il paziente rifiuta con la violenza, e con urla, le emotrasfosioni. La Forza Pubblica allontana i familiari dalla stanza, che si oppongono a gran voce" e poi: "Si decide di contenere il paziente per poter attuare l'emotrasfusione" ed ancora : "Il paziente è agitatissimo e incontattabile, in preda ad uno stato di agitazione psicomotoria grave. Si esegue ECG di controllo che conferma lo stato ischemico miocardico ... ". (doc. 3 fascicolo di primo grado). L'esame autoptico (doc. 5 fascicolo del primo grado) ha poi evidenziato la presenza ai polsi del Liessi di ecchimosi, provocate dai legacci con cui il paziente era stato bloccato al letto: "al terzo medio del braccio di sinistra, sulla superficie flessoria, due aree ecchimotiche rosso violacee di forma irregolare". E che non si tratti dei segni lasciati dall'ago durante la trasfusione, risulta dal fotto che
R.G. 387/2010 23 Il Presidente Relatore (Dott. Giuseppe Patrone)questi altri segni sono stati rivenuti dal perito dott. Mecacci " ... al terzo inferiore del braccio di destra" ove sono stati rinvenuti segni di recente puntura di ago .... "
Non meritano dunque censura alcuna gli apprezzamenti negativi fonnulati dal primo giudice a proposito della violenza - la Corte starebbe per qualificarla anche irrazionale - con cui è stata operata la emotrasfusione, violenza necessaria - a parere dei medici - per vincere la altrettanto accesa reazione del paziente che in tutti i modi cercava di sottrarsi.
Per quanto - infine - attiene alla addotta estraneità ai fatti del dott. Bigatello, che si sarebbe limitato ad accogliere il Liessi al momento del ricovero, va detto in primo luogo che la circostanza non è stata mai dedotta nel corso del primo grado di causa, tanto che lo stesso non aveva eccepito la sua l'estraneità al trattamento coattivo. La difesa appare pertanto inammissibile.
Ma vi è di più dal momento che nel caso del dott. Bigatello, la consapevolezza del rifiuto opposto dal paziente all'emotrasfusione è indiscutibile, trattandosi del medico che, accogliendo il Liessi al momento del ricovero, aveva ricevuto manualmente la dichiarazione scritta del paziente (doc. 4 fascicolo di primo grado) ed aveva compilato il modulo del "consenso infonnato", in cui è veniva ribadito il rifiuto del trattamento emotrasfusionale (doc. 3, pagg. 41, 42 fascicolo di primo grado). Eppure tutto ciò non impedì al dott. Bigatello di partecipare e condividere la decisione dei colleghi di sottoporre il paziente al trattamento coattivo. Il dott. Bigatello difatti fu presente nel momento in cui il dott. Bonfardeci chiamava il magistrato di turno per chiedere l'autorizzazione ad attivare (illegittimamente) il T.S.O. e sicuramente fu presente nella stanza del paziente, insieme al dott. Bonfardeci, al dott. Majno e Mariani, nei momenti immediatamente precedenti e successivi al decesso, tanto che proprio il dott. Bigatello sottoscrisse l'annotazione del decesso del Liessi sulla cartella clinica alle h. 20.30 del 23.5.1996 (doc. 3 pag.74 fascicolo del primo grado).
Le spese seguono la soccombenza e : Azienda Ospedaliera Ospedale S. Carlo Borromeo, dott. Giuseppe Bonfardeci, doti. Rinaldo Maino, dott. Claudio Luigi Enrico Mariani, Laura Speccher ed Anna Chiara Bigatello (quali eredi del dott. Attilio Maria Bigatello) devono essere dichiarati tenuti e condannati a rifondere - in solido fra loro - a favore di De Amicis Vittoria ved Liessi quelle da questi sostenute in relazione al presente grado di giudizio e che, tenuto conto della quantità e qualità dell'opera svolta, si liquidano in complessivi € 8.800,00 di cui € 600,00 per spese,€ 1.200,00 per diritti ed€ 7.000,00 per onorario difensivo, oltre rimborso forfetario, gli oneri di legge e le successive occorrende.
P.Q.M.
la Corte d'Appello di Milano, sezione JA civile;
R.G. 387/2010 24 Il Presidente Relatore (Dott. Giuseppe Patrone)
definitivamente pronunziando nel contraddittorio delle parti, ogni altra, istanza, eccezione e deduzione disattesa, così provvede
in parziale riforma della sentenza n.ro 14883/2008 resa fra le parti in data 13 .12.2008 dal Tribunale di Milano
accerta e dichiara tutti gli appellati: Azienda Ospedaliera Ospedale S. Carlo Borromeo, dott. Giuseppe Bonfardeci, dott. Rinaldo Maino, dott. Claudio Luigi Enrico Mariani, Laura Speccher ed Anna Chiara Bigatello (quali eredi del dott. Attilio Maria Bigatello) per il fatto di avere praticato al paziente Remo Liessi la trasfusione di sangue coatta nonostante la contraria volontà da lui lucidamente e reiteratamente manifestata;
a - responsabili della violazione dei diritti del paziente sanciti dal disposto dell'art. 32 della Costituzione della Repubblica Italiana e da altre disposizioni di legge ordinaria;
b - responsabili del fatto - astrattamente configurato dalla legge come reato - di avere costretto con violenza remo Liessi a subire contro la sua volontà il detto trattamento;
c - responsabili del fatto - astrattamente configurato dalla legge come reato - di avere privato il paziente Remo Liessi della sua libertà personale;
dichiara conseguentemente tenuti e condanna tutti gli appellati - in via solidale fra loro - al risarcimento a favore di De Amicis Vittoria ved Liessi della somma capitale di € 300.000,00 quale erede e della somma di € 100.000,00 in proprio, somme ad oggi rivalutate e con la sola aggiunta degli interessi legali dalla data della odierna pronuncia al saldo;
dichiara tenuto e condanna Azienda Ospedaliera Ospedale S. Carlo Borromeo, doti. Giuseppe Bonfardeci, dott. Rinaldo Maino, dott. Claudio Luigi Enrico Mariani, Laura Speccher ed Anna Chiara Bigatello (quale erede del dott. Attilio Maria Bigatello) - in solido fra loro - a rifondere a favore di De Amicis Vittoria ved Liessi le spese da questi sostenute in relazione al presente grado di giudizio e che si liquidano in complessivi € 8.800,00 oltre rimborso forfetario, gli oneri di legge e le successive occorrende.
Così deciso in Milano, nella camera di consiglio del giorno 28.06.2011
R.G. 387/2010 Il Presidente Relatore (Dott. Giuseppe Patrone)
CORTE D'APPELLO DI MILANO
DEPOSITATA NELLA CANCELLERIA
DELLA 1a SEZIONE CIVILE il 19 AGOSTO 2011