2° Seminario "Coscienza, medicina e alternative al sangue -

Attualità in tema di rifiuto emotrasfusionale"

PRESIDIO ZONA VALDARNO - Sabato 19  febbraio 2000  ore 8:30

'Sala Marilyn' - Via Montegrappa, 4  - San Giovanni V.no (Ar)

Dott. Luciano Duma 
U.O. Servizio Trasfusionale Zona Valdarno

 
L'applicazione della legge sul Buon Uso dei Sangue, 
nei suoi riflessi infettivologici e nelle necessità pratiche delle alternative strumentali. Problematiche e proposte a favore di tutti i cittadini.

L'argomento che mi è stato assegnato parte da un presupposto non corretto: non esiste una legge specifica sul buon uso del sangue, bensì un corpus legislativo molto ampio che comprende la legge 107 del '90 sulle attività trasfusionali, i vari Decreti Ministeriali di attuazione di questa legge, il Piano Sangue Nazionale 1998-2000 e i Piani sangue regionali tra cui il Piano Sangue e Plasma della Regione Toscana 1999-2001. 
Vi sono, poi, delle linee guida di carattere specifico, che sebbene non leggi, hanno valore medico- legale e sono state emanate dal Ministero della Sanità ed elaborate dalla Commissione Nazionale per il Servizio Trasfusionale : esse sono le "Direttive tecniche e promozionali al fine di divulgare le metodologie di riduzione della trasfusione di sangue omologo" del 1991 e il Rapporto su "Il Buon uso dei Sangue" del 1993. 
La nuova legge, che sostituirà la 107, disciplinante le attività trasfusionali e la produzione di emoderivati, dopo un iter parlamentare travagliato, è giunta in dirittura finale alla Commissione Affari Sociali della Camera ed è nota agli addetti ai lavori. 

Tutta la copiosa e dettagliata legislazione vigente, e quella in gestazione, sottolineano con particolare enfasi la necessità di un corretto impiego del sangue e degli emoderivati. 
Se è infatti sempre obbligatoria la valutazione della appropriatezza di ogni atto terapeutico, lo è ancora di più per la terapia trasfusionale in senso lato, tanto da spingere il legislatore ad affermare esplicitamente che " la trasfusione di sangue ed emoderivati è una pratica terapeutica non esente da rischi e necessita del consenso informato del ricevente". 
Questa affermazione che risale al D.M. 15/1/1991 conserva ancora oggi tutta la sua attualità. 

Negli anni la Medicina Trasfusionale ha compiuto progressi significativi: si sono affinati sia in sensibilità che in specificità, i tests diagnostici obbligatori per legge su ogni donazione: epatite B, epatite C, AIDS. 
La prossima introduzione del test per la ricerca dell'antigene per la epatite C, e non dell'anticorpo come avviene oggi, renderà ancora più sicura rispetto a questa patologia, la trasfusione del sangue e dei suoi componenti. 
La obbligatorietà di tecniche di biologia molecolare, secondo direttive europee, su pools di plasma, nella produzione industriale di emoderivati, insieme all'impiego di trattamenti sofisticati, quali solventi-detergenti, ha minimizzato i rischi di trasmissione di agenti patogeni. 
Sull'altro versante, quello della selezione dei donatori, la Società Italiana di Medicina Trasfusionale, in linea con la letteratura internazionale, ha recentemente emanato (Aprile'99) delle linee guida molto restrittive che attengono non solo allo stato di salute del donatore, ma anche agli stili di vita e ad eventuali comportamenti a rischio, onde ridurre al massimo la possibilità di trasmissione di eventuali patologie tramite le donazioni. 
Tutte queste strategie tendono a ridurre sempre più il rischio legato alla trasfusione, ma non riusciremo mai ad ottenere il rischio zero. 
Da un lato infatti il periodo finestra, il tempo cioè intercorrente tra il momento dell'infezione con un agente patogeno e la comparsa degli anticorpi relativi che ci permettono di evidenziare l'infezione stessa, con l'avvento dei nuovi tests diagnostici tende a ridursi sempre di più, ma persiste tutt'ora, dall'altro si sta evidenziando una patologia post-trasfusionale nuova. 
Voglio ricordare sinteticamente la comparsa di patogeni mutanti del virus dell'epatite B, conseguenza forse della pressione selettiva successiva all'obbligo della vaccinazione anti-epatite B. 

- i virus dell'epatite non A, non B, non C ( siamo giunti alla identificazione del virus dell'epatite G) - il parvovirus B 19 ( che ha particolarmente colpito gli emofilici) 
- la famiglia degli Herpes virus ( che possono essere letali nei soggetti immunocompromessi) 
- i prioni ( responsabili, forse, di una variante della malattia di Creutzfeld-Jacob, più nota come malattia della mucca pazza). 
- Infine, ma non meno importante, è da considerare l'ormai dimostrato effetto di immunodepressione conseguente alla terapia trasfusionale e che può giocare un ruolo importante, in senso negativo, nel decorso di alcune patologie tumorali specie del colon-retto. 

Quanto accennato non vuol costituire terrorismo psicologico, ma solo sottolineare ancora una volta come la terapia trasfusionale debba essere ]praticata valutando scrupolosamente rischi-benefici. 

Per questi motivi la legislazione vigente e quella in approvazione alla Camera istituiscono e definiscono i compiti del Comitato per il Buon uso del Sangue o Comitato Trasfusionale 
Ospedaliero: esso deve essere attivato in ogni U.S.L. e, all'interno di queste, in ogni Presidio Ospedaliero con rilevante attività trasfusionale. ( Piano Sangue Regione Toscana '99-2001). 

Questo organo collegiale costituisce il fulcro con cui si attua una corretta politica trasfusionale. 
Esso è presieduto dal direttore sanitario e composto da medici trasfusionisti, da specialisti delle varie branche ospedaliere che impiegano la terapia trasfusionale, dal responsabile della Farmacia, da un rappresentante del personale infermieristico, da un rappresentante delle diverse Associazioni dei Donatori e da un rappresentante del Tribunale per i diritti del Malato. 
Il Comitato ha una duplice finzione: propositiva (elaborazione di protocolli e linee guida) e di verifica e controllo ( rapporti periodici sulle attività trasfusionale dei vari Reparti). 
Deve promuovere anche le tecniche di autotrasfusione, nonché l'impiego corretto degli emoderivati del commercio. 

Nella nostra zona già nel luglio 1991, quando eravamo una U.S.L. autonoma, fu formalizzata con delibera la istituzione del Comitato. 
Mi sembra che negli anni abbia operato egregiamente e che abbia contribuito a sviluppare una sensibilità notevole verso le problematiche trasfusionali. 
Partendo dal fondamentale presupposto del consenso, o dissenso, informato, di cui tutti gli operatori sono ormai perfettamente consapevoli, pratichiamo in modo sistematico la tecnica del predeposito negli interventi programmati di Ortopedia per le protesi di anca e di ginocchio, secondo protocolli ormai collaudati e ben accetti dai pazienti. Abbiamo abbandonato la pratica del predeposito in certi interventi di chirurgia, quando da una revisione critica, abbiamo riscontrato che tali interventi decorrevano, per valentia dei chirurghi e degli anestesisti, con perdite non significative di sangue. Continuiamo a effettuare i predepositi in quegli interventi chirurgici programmati che statisticamente, secondo la letteratura internazionale, prevedano la necessità di trasfusioni. 
Grazie a un'azione congiunta tra i vari operatori, e con molta buona volontà e consapevolezza del problema da parte di tutti, siamo riusciti negli anni a razionalizzare la pratica trasfusionale: nella nostra zona si è praticamente azzerata la terapia trasfusionale nelle anemie in gravidanza e in tutte quelle situazioni cliniche in cui i livelli di emoglobina non siano diventati critici, anche in relazione alle condizioni cliniche del paziente. 

L'impiego del plasma per uso clinico viene ponderato caso per caso tramite uno scambio dialettico tra il medico richiedente e il trasfusionista : ciò ha permesso, grazie anche alla generosità dei nostri donatori, di riservare la maggior parte del plasma alla lavorazione industriale, onde ottenere in cambio gli emoderivati. 
L'utilizzo degli emoderivati nei Reparti, in particolare dell'albumina, ha avuto una revisione critica che ha condotto a una terapia più mirata e, quindi, più contenuta. C'è stato, di contro, un aumento dell'uso di altri emoderivati, specie dell'Antitrombina III, da quando disponiamo di un efficiente reparto di Rianimazione. 
Pur se molto lavoro è stato fatto, molto altro ancora c'è da farne: la buona volontà e le conoscenze scientifiche della problematica si scontrano con la realtà. 
Sono anni che a livello di Comitato, e non solo a quel livello, tutti gli addetti ai lavori rivendicano con forza la necessità di poter disporre di attrezzature che minimizzino l'impiego di sangue omologo: mi riferisco ai dispositivi per il recupero intraoperatorio e a quelli per il recupero postoperatorio. 
Abbiamo utilizzato saltuariamente dei dispositivi abbastanza rudimentali per il recupero intraoperatorio, più per la buona volontà dei colleghi Anestesisti, che per una radicale e razionale soluzione del problema. 
L'apertura dei nuovo Ospedale dovrà far cadere ogni remora: la esistenza di un unico blocco operatorio dovrà necessariamente prevedere una macchina di ultima generazione per il recupero intraoperatorio con filtrazione e lavaggio del sangue da reinfondere, che possa servire sia l'ortopedia che la chirurgia di elezione e di urgenza. 
La organizzazione di una zona postoperatoria intensiva permetterà l'impiego di dispositivo per il recupero post-operatorio, particolarmente importante in certi tipi di intervento, come le protesi di ginocchio. 

Per concludere vorrei fare un fugace cenno alle notevoli potenzialità che ci vengono offerte dalla eritropoietina. 
Questo farmaco può essere utilizzato, ormai, non solo nelle anemie da insufficienza renale cronica, ma anche in una serie di situazioni cliniche elettive, tra cui la possibilità di effettuare l'autotrasfusione, pur con valori di emoglobina di partenza non ottimali. 
Già da tempo il Comitato Trasfusionale ha affrontato il problema approntando un protocollo sull'impiego a bassi dosaggi sotto cute di questa molecola.

Dott. Luciano Duma